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La fine della ricreazione di Freddy K

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Adattamento del romanzo omonimo di Delfina de Vignan, I bambini sono re è una serie poliziesca di Disney + che ha stuzzicato la mia curiosità con il suo argomento di fondo. La serie tratta infatti di mini influencer e di questi bambini proiettati più o meno consensualmente tra le star dei social network, il tutto attraverso un romanzo poliziesco che purtroppo si rivela piatto e superficiale quanto l'esplorazione dell'argomento di fondo.

I bambini sono re ci racconta la storia di Kimmy, una bambina di sei anni, superstar dei social media con il canale di sua madre chiamato Happy Récré. Quando la bambina viene misteriosamente rapita, la polizia si ritrova a confrontarsi con il mondo degli influencer in pantaloni corti, dei loro genitori, dei loro fan e di tutto ciò che la loro esistenza prosciuga di gelosie, persone contorte, isteria mediatica e pericoli.

Il potenziale di questa collana, soprattutto in relazione alle molteplici tematiche di fondo riguardanti l'uso dei bambini sui social network, c'è, sufficiente comunque per offrire una serie ricca, documentata e attuale che I bambini sono re non lo sarà mai. Avremo solo diritto ad una moralità ben calibrata e ad una tonnellata di luoghi comuni il più delle volte espressi con faccia seria durante i dialoghi, uno più convenzionale dell'altro, come ad esempio: “Hai sfruttato tua figlia per vendere magliette fatte da altri bambini sfruttati”e sì, denuncia seriamente e con una certa finezza di analisi. Poco, invece, sui brand e sulle aziende che sostengono queste pratiche e ancor meno sul grossolano compiacimento delle reti che ospitano questo tipo di contenuti senza alcun problema di coscienza purché guadagnino. Resteremo quindi sulla superficie educata delle cose, dando lezioni ai genitori inevitabilmente violenti e sottolineando il fatto che non è ancora giusto fare questo genere di cose. Non c'è assolutamente alcuna profondità, nessuna analisi rilevante, nessuna riflessione che vada oltre la semplice osservazione e la lezione morale predigerita. E poiché per ogni episodio era necessario individuare un sospettato per rilanciare una pseudo suspense fiacca, ci troveremo davanti alla caricatura di un giocatore di videogiochi di basso livello che vessava la madre con messaggi osceni, al servizio pedofili, a all'ex fidanzato che nasconde un oscuro segreto che viene svelato non appena appare sullo schermo e al concorrente di YouTube che recupera spudoratamente i contratti pubblicitari persi dalla scomparsa del ragazzino. Tutto è scritto ancora una volta senza un briciolo di finezza o misura, minando sempre di più la verità dell'insieme. E' molto semplice, tutto è così grande e superficiale che nulla funziona mai completamente e non saranno la trama poliziesca e tanto meno i personaggi che ci aiuteranno almeno a immergerci in questa storia. Abbiamo un po' la sensazione che la serie voglia raggiungere più persone possibile con il suo messaggio che evidenzia sempre tutto tre volte in modo che tutti capiscano cosa bisogna capire e ricordare.

Innanzitutto che idea aver scelto Geraldine Nakache come ispettore di polizia a parte il piacere del controimpiego? L'attrice potrebbe aver tirato la faccia durante i sei episodi, avendo fatto una faccia seria con una cicatrice e la pelle grassa per interpretare la ragazza profonda che beveva tanti cappelli e soprattutto non la ragazza superficiale, non è quasi mai credibile nel ruolo. La scena in cui perde la pazienza durante un interrogatorio potrebbe addirittura essere la sequenza più divertente della sua carriera, peccato che non sia proprio questo l'obiettivo. Poi sono sicuramente un po' cattivo ma vista la scrittura dei personaggi e la mediocrità generale della regia degli attori, probabilmente non è solo il poveretto ad avere colpa. Chantal Lauby come una madre cattolica presuntuosa del derch, Jacques Weber come un vecchio gaucho del sessantotto che urla contro la società dei consumi, Panayotis Pascot nei panni di un giovane poliziotto fragile sono alcuni esempi di personaggi caratterizzati da due o tre forti tratti di scrittura e che, nonostante il loro talento, si ritrovano un po' intrappolati nella caricatura. Se Doria Tillier non se la cava troppo male con il suo personaggio di madre amorevole ma narcisista, manipolatrice e fragile, il personaggio è ancora una volta presentato in modo troppo crudo per poterci credere pienamente. Quella che spicca nel casting è India Hair, ma ehi, non sono molto obiettiva dato che adoro questa attrice.

I bambini sono re è anche pieno di momenti ridicoli e imbarazzanti poiché sono costruiti a casaccio e cadono miseramente piatti. Quando i fan della piccola Kimmy ai piedi del suo edificio hanno iniziato a cantare la sua canzone preferita, ho voluto immolarmi sul posto. Quando l'ispettore e la madre di Kimmy suggeriscono una parvenza dell'inizio di una relazione romantica, semplicemente scoppio a ridere perché è così casuale e totalmente inutile. E quando il commissario con la faccia seria tornava alla sua macchina sotto la pioggia di una notte blu metallizzata a suon di pop malinconico mi ricordavo Brel chi l'ha cantato lui non dovresti giocare da ricco quando non hai i soldi perché non vuoi interpretare un thriller della HBO quando hai voglia di un film TV per 3.

I bambini sono re non è certo una grande delusione poiché oggettivamente e in definitiva non mi aspettavo molto da esso. Il legittimo messaggio sui pericoli dell'esposizione dei bambini alle reti non è sufficiente a qualificare la serie come utile o rilevante e gli intrighi polizieschi che potrebbero rivelarsi molto inquietanti (stiamo pur sempre parlando del rapimento di una bambina di sei anni) ) rimane blando e senza la minima tensione drammatica perché tutto è prevedibile e tenero.

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