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Quale lezione dalle elezioni americane per la sinistra? Rimetti il ​​lavoro al centro!

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Pubblicato il 10 novembre 2024 alle 14:42

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La vittoria di Trump porta con sé una lezione: i cittadini si definiscono innanzitutto come lavoratori preoccupati e non più come consumatori soddisfatti. È giunto il momento che la sinistra riporti il ​​lavoro al centro delle sue ambizioni

Questo articolo è una rubrica, scritta da un autore esterno al giornale e il cui punto di vista non impegna la redazione.

I risultati elettorali di mercoledì 6 novembre avranno ripercussioni che vanno oltre i confini degli Stati Uniti. Sarebbe ingenuo credere che questi siano limitati al campo delle relazioni internazionali. Sarebbe inoltre imprudente attribuirli all’eccezionalismo americano.

I luoghi comuni del momento riducono erroneamente il risultato delle elezioni americane al plebiscito personale di un uomo al quale giustamente attribuiamo una tentazione autoritaria e la volontà di porre fine definitivamente all’ordine mondiale risultante dal post-1945. Questo “storytelling” che contrapponiamo all’altro non può, tuttavia, riassumere la situazione: l’Election Day del 5 novembre non è solo la data delle elezioni presidenziali ma anche quella delle elezioni del Congresso che i candidati del Partito Repubblicano hanno chiaramente vinto nella maggioranza dei voti. elezioni locali. In altre parole, il 5 novembre 2024 ha appena visto la vittoria completa di una formula politica su un’altra. Da un programma all'altro. Da una strategia all'altra. Questo è il fatto principale al quale dobbiamo reagire, perché può essere duraturo e strutturante per le nostre democrazie.

Gli Stati Uniti e l’Europa hanno radici culturali comuni e un grado di parentela sufficiente affinché migliaia di cittadini americani un giorno abbiano accettato di rischiare la vita per liberare il nostro continente dal giogo nazista e dalla minaccia sovietica. Abbastanza anche perché la storia del mondo operaio occidentale abbia conservato la data del 1° maggio come simbolo delle lotte sindacali. Tuttavia, nel corso degli anni e dell’evoluzione delle nostre economie e delle nostre società democratiche, le nostre culture politiche si sono chiaramente differenziate, impedendoci di assimilare la sinistra europea al Partito Democratico americano, anche se comprende socialisti di ispirazione europea.

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La sconfitta di Kamala Harris

Paradossalmente, è tanto nella sconfitta di Kamala Harris quanto nella vittoria indiscussa del Partito repubblicano che proponiamo di cercare tre lezioni per i progressisti europei e di trarne una conclusione politica.

Il primo di questi è l’ennesimo promemoria del fatto che il voto dei dipendenti non è vinto dalla sinistra e che un discorso credibile sulla protezione sociale può essere sostenuto da partiti politici di diversi orizzonti. Questa svista è costata ai democratici americani il voto dei lavoratori della Rust Belt per diverse elezioni. Segnò anche il declino del PS e l'ascesa del Fronte Nazionale, poi del Raggruppamento Nazionale. Danneggia anche l'SPD tedesco e partiti simili nei Paesi Bassi o in Svezia, dove il “socialdemocrazia”definito dalla vicinanza tra un partito e un sindacato dei lavoratori, nonché dall'attaccamento a una forma di welfare o almeno di stato redistributivo.

La seconda lezione è l’esaurimento della formula che ha fatto il successo dei democratici americani sotto Clinton e Obama, vale a dire la ricerca della costituzione di una base elettorale che comprenda tutte le minoranze che possano considerarsi oppresse, e di farne un dinamica politica distinta dalle questioni economiche relegate in secondo piano in un falso consenso. Se negli Stati Uniti questa formula era meno teorica che pratica perché corrispondeva alla realtà multiculturale di un paese federale votato a riuscire indefinitamente a «crogiolo» caratteristica delle prime generazioni di migranti, le elezioni del novembre 2024 ne mostrano l’esaurimento. Mette definitivamente in discussione, in Francia, la pertinenza della strategia proposta da Terra Nova nel 2012 (ma da allora ampiamente assimilata dalla sinistra) consistente nel sostituire la vecchia coalizione dei lavoratori e dei salari con una nuova coalizione basata sulle comunità di cultura. liberalismo e su una condizione socio-economica di outsider. Se la considerazione della lotta contro la discriminazione deve essere intatta, proponiamo di riformularla in termini di universalità e di articolarla con la questione economica che costituisce la preoccupazione comune dei cittadini.

La terza lezione è la dimostrazione del successo della riconversione ideologica delle forze conservatrici, in un grande movimento incrociato con la sinistra. Ieri, caratterizzati da un discorso cosiddetto neoliberista a favore della liberalizzazione del mercato del lavoro, dei movimenti di capitali e dell’apertura delle frontiere, si sono trasformati in partiti “popolari” le cui componenti elettorali vengono quotidianamente ignorate ma si ritrovano nella “ grande notte” di una condanna delle “élite”. Popolari per la diversificazione sociologica del loro elettorato, anche se stupisce il grande divario tra le forze capitaliste e i precari uniti attorno al “gusto dello sforzo”. Popolare, a causa di un discorso che pretende di proteggere i lavoratori dalla modernizzazione economica e dalle trasformazioni internazionali. Popolari anche per la padronanza dei mezzi di comunicazione e dei codici di una cultura che non è quella borghese. Definito ieri “populista”, questo sviluppo è “trumpiano” ma è anche incarnato, con molte più sottigliezze e sfumature, da Marine Le Pen in Francia o Giorgia Meloni in Italia.

Lavoratori preoccupati

Da allora in poi è necessaria una conclusione: il futuro della sinistra europea sarà “labour” oppure non lo sarà.

La lezione americana è infatti, al di là di Donald Trump, che i cittadini si definiscono innanzitutto come lavoratori preoccupati e non più come consumatori soddisfatti. Occorre quindi rimettere il lavoro al centro del dibattito politico.

Questo laburismo non può, tuttavia, essere un “trumpismo”, che riduce la protezione sociale a una visione etnocentrica, esclude le minoranze e sostiene l’egoismo nazionale. La sinistra non riesce a farlo. Innanzitutto, in linea di principio. Poi, per pragmatismo: in Europa c’è solo un futuro per il lavoro su scala continentale. Esattamente come negli USA.

In altre parole, è tempo che la sinistra si ricolleghi ad un’ambizione per il mondo del lavoro coerente con le sue tradizioni di democrazia, solidarietà e internazionalismo. In altre parole, la questione non può più essere solo quella di tutelare il potere d’acquisto, utilizzando solo lo Stato redistributivo, ma di investire nell’impresa.

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L’impresa deve essere, se possibile ovunque in Europa, il luogo di produzione di ricchezza condivisa e di democrazia sul lavoro. Deve tornare ad essere il palcoscenico centrale dove riconquistare la dignità del lavoro. Tra i due blocchi, americano e cinese, il primo passo consiste nel rafforzare la sovranità produttiva dell’Europa, come raccomandato dal rapporto Draghi, sviluppando politiche industriali che ne garantiscano l’indipendenza e siano necessarie per garantire posti di lavoro dignitosi.

Pertanto, un neolaborismo adattato alle questioni contemporanee potrebbe offrire tre prospettive da discutere e consolidare. Non ci sarà infatti alcuna trasformazione ecologica in grado di affrontare le sfide se le classi lavoratrici non saranno la forza trainante. Non ci sarà quindi evoluzione del modello economico se non si valorizza la qualità del lavoro e il suo radicamento territoriale. Infine, non ci sarà alcun nuovo patto sociale se non vi saranno coinvolte tutte le categorie di lavoratori come parte dell’estensione della democrazia economica.

Firmatari

Timothée Duvergerricercatore presso il Centro Emile Durkheim

Girolamo Saddieresperto associato della Fondazione Jean-Jaurès

Christophe Sentedottore in scienze politiche e sociali presso la Libera Università di Bruxelles

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