“Sono qua”. Furono le ultime parole del commissario Cattani, un intenso Michele Placido che cadeva sotto una pioggia di proiettili nell’ultima puntata della serie “La piovra”; una colonna sonora, quella di Ennio Morricone, a fare da sfondo, nei suoi accordi drammatici, alla lotta tra il bene e il male. Chapeau, ieri come oggi, a un grande figlio della nostra terra, il Maestro che ha saputo toccare tutti i registri stilistici portando la sua arte in Italia e all’estero senza mai dimenticare il luogo che gli ha dato i natali, Ascoli Satriano. Un rapporto d’amore vero, intenso, sempre coltivato: ad Ascoli ha girato alcune scene di un suo film, “La scelta” e ha reso omaggio a due capolavori assoluti della magnificenza greca rivenuti proprio nella sua terra, i grifoni. Da direttore artistico ha calcato il teatro “Giordano” di Foggia.
In questi giorni il Maestro ha portato un suo grande amore sullo schermo nel nome di una passione che risale agli anni della sua formazione di attore; quel Pirandello – “Eterno visionario” è il titolo del film – da lui conosciuto nel profondo, con rigore e con studio e arricchito dal suo inconfondibile piglio artistico. Vedere studenti universitari alle prese con Pirandello in una ‘matinée’ al cinema – tale fruttuosa frequentazione dovrebbe essere più praticata – fa pensare davvero a un magistero perenne, tanto dello scrittore siciliano quanto dell’artista di origini foggiane. Lo ha ben dimostrato dietro la macchina da presa Michele Placido nel passare in rassegna i momenti salienti del drammaturgo cui la vita non ha risparmiato dolori. Schiacciato dalla follia della moglie prima e, poi, da un amore mai corrisposto e comunque tormentato per la sua musa ispiratrice Marta Abba, colpevole suo malgrado nei confronti dei figli pur tanto amati, Pirandello ci lascia un messaggio che appunto ha a che fare con l’eternità di cui al titolo.
Siamo uno, due, persino centomila, e da queste fratture dell’io resi deboli. Alla consegna del Premio Nobel incantò i presenti parlando “di un amore e un rispetto della vita indispensabili per assorbire delusioni amare, esperienze dolorose, ferite terribili, e tutti gli errori dell’innocenza che donano profondità e valore alle nostre esistenze”. Che si celebri questa densità, dunque, nel nome di uno scrittore cui piaceva credere che il Nobel fosse stato conferito “non tanto alla perizia dello scrittore, che è sempre irrilevante, quanto alla sincerità umana del mio lavoro”.
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