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un nuovo avvertimento per le democrazie occidentali

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Mercoledì Donald Trump è stato quindi eletto 47esimo presidente degli Stati Uniti. Oltre al sorprendente ritorno del miliardario, è anche un esempio dell’incapacità dei leader politici di bloccare il populismo.

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Pubblicato il 07/11/2024 08:31

Aggiornato il 07/11/2024 08:31

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Donald Trump si rivolge ai suoi sostenitori al Palm Beach Convention Center, 6 novembre 2024. (CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH / EPA)

Il successo di Donald Trump mercoledì 6 novembre suona come un avvertimento per le democrazie occidentali. Fatta eccezione per Vladimir Putin, Benjamin Netanyahu e Viktor Orban, che lo sognavano, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è stato l’incubo della maggior parte dei leader delle democrazie occidentali. Si è avverato.

Questo ritorno illustra la messa in discussione del nostro modello democratico da parte di una quota crescente di elettori che stanno cedendo all’attrazione di leader forti e populisti. Anche quando hanno messo in discussione la regola comune, quella delle elezioni, come ha fatto Donald Trump durante l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. In questo risultato ci sono molte specificità legate alla vita politica americana, ma bisogna notare anche evidenti punti comuni con l’evoluzione delle nostre società al di qua dell’Atlantico.

Esiste un duplice divario sempre più profondo, territoriale in primis, tra le grandi città da un lato e le aree rurali e i centri piccoli e medi dall’altro; divario sociologico quindi, tra le élites, intellettuali, culturali e laureati da un lato, e le classi popolari e senza diploma dall'altro che hanno voltato le spalle alla sinistra. Il disastro di Kamala Harris illustra l’impotenza dei progressisti nel sanare queste fratture e quindi nel combattere il populismo. Invece di rispondere alle aspettative sociali e identitarie delle classi lavoratrici che si sentono abbandonate dai vertici, questa sinistra taglia a fette la società e adotta un approccio comunitario. A volte aggiunge un pizzico di condiscendenza, ad esempio trattando l'avversario come se fosse “fascista”come ha fatto Kamala Harris. In sostanza, la candidata democratica, una donna della West Coast, proveniente dalla privilegiata California, ha ripetuto, otto anni dopo, gli errori di Hillary Clinton, una donna della East Coast che incarna le élite newyorkesi. Fino a contare fino all'ultimo sul sostegno delle star dello spettacolo, da Taylor Swift a Lady Gaga.

D’altro canto, l’inflazione e l’immigrazione hanno decretato la vittoria di Donald Trump. La tribuna populista portava una grande storia unificante, la “Rendi di nuovo grande l'America”che gli ha permesso di progredire in tutte le categorie, comprese le minoranze latine e afroamericane, anch’esse preoccupate per la sicurezza e il potere d’acquisto. Dalla Brexit alla vittoria di Giorgia Meloni in Italia, queste stesse ricette fanno sì che anche l'estrema destra abbia successo un po' ovunque in Europa.

La vittoria di Donald Trump è quindi una manna dal cielo per Marine Le Pen, per prendersi gioco dei sondaggi e dei media ancora una volta incapaci di misurare la portata di questa ondata populista. Ma a differenza del 2016, lei non lo ha sostenuto. Senza dubbio perché, a livello stilistico, c’è più trumpismo nella violenza verbale di Jean-Luc Mélenchon, nei suoi insulti ai giornalisti, nella sua voglia di “conflitto tutto”. Per mesi Donald Trump ha continuato a radicalizzarsi. Il suo trionfo è anche una sconfessione della strategia dell' “demonizzazione” di Marine Le Pen.

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