Il francese Laurent Vinatier riceve una condanna relativamente mite secondo gli attuali standard russi

Pubblicato il 14 ottobre 2024 alle 19:56 / Modificato il 14 ottobre 2024 alle 21:57

“Colpevole”: è quanto ha deciso il 14 ottobre un tribunale di Mosca nei confronti del ricercatore francese Laurent Vinatier, accusato di non essersi dichiarato “agente straniero”. L’accusa aveva chiesto 3 anni e 3 mesi di reclusione, i giudici hanno optato per una pena un po’ più clemente: 3 anni. L’articolo 330 del codice penale russo in base al quale è stato condannato prevedeva fino a 5 anni di reclusione. I due avvocati del francese, Oleg Bessonov e Alexei Sinitsyn, hanno tuttavia denunciato un “verdetto duro” e hanno annunciato che faranno appello contro tale sentenza.

Dipendente del Centro per il dialogo umanitario (CDH), un’organizzazione ginevrina specializzata nella “mediazione e risoluzione dei conflitti armati attraverso la diplomazia discreta”, Laurent Vinatier è stato arrestato il 6 giugno dall’FSB, i servizi di sicurezza interni russi. Un arresto che è stato subito percepito come un segno di ritorsione da parte di Mosca nei confronti del giudicato atteggiamento più falco di Emmanuel Macron, descritto come il principale “falco” europeo dalla propaganda russa nel contesto della guerra in Ucraina. All’epoca gli investigatori russi minacciarono accuse ben più gravi, sostenendo che il dipendente della fondazione svizzera avesse raccolto informazioni “che avrebbero potuto essere usate contro la sicurezza dello Stato”. Ma nel corso delle settimane, l’atteggiamento degli accusati – che hanno subito giocato la carta del mea-culpa e della buona fede – e, forse, un discreto desiderio di “de-escalation” nei confronti di Parigi e, del resto, dell’operato del CDH hanno sicuramente giocato un ruolo nel far cadere dall’accusa le accuse di “spionaggio”.

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