Investigazione
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Basandosi su atti giudiziari e testimonianze inedite, “Libération” rivela la fragilità delle accuse che hanno portato le autorità giapponesi a emettere un mandato di arresto internazionale contro il fondatore di Sea Shepherd. I fatti risalgono ad una campagna effettuata nel 2010 al largo delle coste dell’Antartide.
Dopo aver perlustrato l’estremo occidente dell’alto mare per allertare le baleniere giapponesi, l’attivista americano-canadese Paul Watson, fondatore della ONG Sea Shepherd, è rinchiuso da più di settanta giorni in una cella groenlandese, in attesa che la Danimarca, che ha la supervisione su questo territorio autonomo, decide sulla sua eventuale estradizione in Giappone. Dalla finestra della sua prigione, il pirata verde 73enne ammira la bellezza del fiordo e le balene che vengono a respirare tra gli iceberg mentre scagliano una vendetta giapponese. “Vogliono usarmi per dimostrare che la loro caccia alle balene non subisce interferenze” denuncia all’Agence France-Presse.
Mercoledì 2 ottobre a Nuuk, capitale dell’isola, si terrà una nuova udienza relativa ad una terza richiesta di liberazione avanzata dai suoi avvocati. Ma, in fondo, di cosa accusa esattamente la giustizia giapponese il famoso “eco-guerriero”? Finora sono emerse solo poche accuse vaghe, mentre Watson rischia fino a quindici anni di carcere, secondo la legge giapponese. Pubblicazione si è immerso in un caso vecchio di quattordici anni, esplorandone anche il lato giapponese. Per questo è stato necessario passare attraverso documenti legali mai rivelati, raccolti
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