“I loro figli dopo di loro”, languida cronaca di una generazione perduta

“I loro figli dopo di loro”, languida cronaca di una generazione perduta
“I loro figli dopo di loro”, languida cronaca di una generazione perduta
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I loro figli dopo di loro **

di Ludovic e Zoran Boukherma

francese, 2:21

Estate 1992. Due adolescenti si annoiano in una valle deindustrializzata della Lorena e vegetano sul bordo di un bacino idrico. « On s'emmerde! », Anthony proclama a suo cugino. Così rubano una canoa e attraversano il lago per andare incontro al loro destino. In una scena ci ritroviamo nell'atmosfera del libro di Nicolas Mathieu, vincitore del Premio Goncourt 2018, di cui il film è un fedele adattamento. Cronaca intima e sociale lungo quattro estati (1992, 1994, 1996, 1998) di un giovane che vive le prime storie d'amore e cerca un futuro all'ombra degli altiforni ormai chiusi e dei genitori disillusi.

I fratelli Boukherma, registi di film di genere dall'universo insolito (Teddy, L'anno dello squalo), donargli l'ampiezza e l'inebriante profumo di nostalgia che emanava dal romanzo. Immagini in cinemascope, luci che irradiano paesaggi schiacciati dal calore, colori saturi e una colonna sonora degli anni '90 compongono l'ambientazione raffinata. Lontano dal grigiore e dal naturalismo delle commedie sociali in stile Ken Loach. Un pregiudizio che è attrattivo a priori. Proprio come il suo attore principale, Paul Kircher, che dà subito il tono al suo personaggio con un misto di innocenza e serietà tipico di quest'età della vita in cui tutte le speranze sono ancora consentite. La sua presenza sullo schermo, il suo fisico unico con questa ciocca di capelli che nasconde un occhio socchiuso, il suo fraseggio particolarissimo sono imponenti. Gli sono valsi il premio Marcello-Mastroianni come miglior attore esordiente all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.

Un adattamento saggio e piuttosto fluido

Seguiamo poi senza dispiacere i suoi mancati incontri con Steph (Angelina Woreth), la ragazza inaccessibile di cui si innamorò perdutamente, il suo litigio con Hacine (Sayyid El Alami), il ragazzo della città vicina che gli rubò una moto. al padre, il divorzio dei genitori e la lenta deriva alcolica di un padre, interpretato da Gilles Lellouche, testimone del malessere di un'intera generazione. Il contesto, infatti, non si dimentica mai. Quella di un’industria siderurgica in agonia, della solidarietà operaia che si sgretola, dell’aumento del razzismo e del peso dei determinismi sociali. Ma ciò che ha reso così ricco il libro di Nicolas Mathieu è qui appena accennato e appare solo come sfondo dei tormenti romantici del suo eroe.

Da qui l'impressione di un adattamento saggio e alquanto scorrevole del libro. Riportato alla sua trama principale – malgrado la sua durata di 2 ore e 21 – lascia da parte l'intera galleria di personaggi secondari che davano sapore e sostanza a questa Francia periferica fino ad allora raramente citata in letteratura. Se il film, al ritmo della cronaca, cattura perfettamente l'atmosfera di queste languide estati, ci lascia un po' distanziati dai suoi eroi.

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