Il gesto estremo del giornalista 42enne, dubbi sulla sua morte: «Aveva appena acquistato un biglietto per gli Usa. Potrebbe essere una messa in scena del regime»
Wikipedia è appena stato aggiornato. Kianush Sanjari 11 settembre 1982 – 13 November 2024. Il giornalista dissidente lo aveva scritto su X: «Se Fateme Sepehari, Nasreen Shakrami, Tomaj Salehi e Arsham Rezaei non verranno rilasciati dal carcere entro le 19:00 di mercoledì 13 novembre, e la notizia del loro rilascio non sarà pubblicata sul sito della magistratura, metterò fine alla mia vita in segno di protesta contro la dittatura di Khamenei e dei suoi soci».
Ventitré ore dopo, l’ultimo post: «Rispetto la parola. Nessuno dovrebbe essere incarcerato per aver espresso le proprie opinioni. La protesta è un diritto di ogni cittadino iraniano. La mia vita finirà dopo questo tweet ma non dimentichiamo che moriamo e moriamo per amore della vitanon della morte. Mi auguro che un giorno gli iraniani si sveglino e superino la schiavitù». Poi una foto dall’alto, di quello che sarebbe stato il suo salto nel vuoto: «7 p.m., ponte di Hafez, Chaharso». Sanjari si è suicidato. Rimangano i video di un corpo riverso a terra e un tentativo vano di rianimarlo.
Il giornalista ha chiesto, ha pregato via social che gli attivisti Sepehari e Rezaei, la madre della giovane Nika Shakarami uccisa dalle guardie degli ayatollah nel 2022e il rapper Salehi – tutti prigionieri politici, tutti incarcerati senza processo – venissero rilasciati, solo così non avrebbe compiuto l’estremo gesto di togliersela vita.
Una richiesta dall’esito scontato. Il regime non ascolta nessuno, figuriamoci un giornalista, un dissidente con la passione per la libertà. Un quarantaduenne che da quando ha 17 anni ha praticato la dissidenza pacifica, facendo fuori e dentro dal carcere di Evin, a Teheran. Sanjari conosceva nel dettaglio la tortura fisica e psicologica perpetrata dal regime, ma, raccontano gli amici, non ha mai smesso di credere che un giorno avrebbe vissuto in un Iran libero e democratico. Durante uno degli arresti, è stato anche rinchiuso in una clinica psichiatrica. Ha raccontato a Radio Farda: «Per nove volte ho subito cure forzate con scosse elettriche e l’iniezione di sostanze».
Migliaia le condivisioni del suo ultimo messaggio. «Guardate la disperazione degli iraniani, saremo sempre con te»scrivono sui social. E ancora: «La vita mi deve una patria dove posso pensare solo a vivere, non alla patria».
Ma, sempre tra i suoi conoscenti, c’è chi solleva qualche dubbio: e se Sanjari non si fosse tolto la vita ma fosse tutta una messinscena del regime che voleva ucciderlo? Non sarebbe la prima volta che le guardie degli ayatollah fingono un suicido per fare fuori i dissidenti. Chi conosce Sanjari racconta che aveva appena acquistato un biglietto per gli Stati Uniti e che non aveva mai parlato di gesti di questo tipo.
In passato, Sanjari ha vissuto a Washington Dc dove ha lavorato per il canale dell’opposizione Voice of America e per altre organizzazioni dei diritti umani. Nel 2016 era tornato in Iran per stare vicino alla madre malata.
13 novembre 2024 ( modifica il 13 novembre 2024 | 23:33)
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