Pochi giorni fa, a Dakar, si è tenuta una conferenza sul fact-checking organizzata da giornalisti e attivisti africani raggruppati attorno ad una piattaforma chiamata FACT’AFRICA. “L’informazione nell’era dei social network”; questo è stato il tema che ha visto la partecipazione di giovani provenienti da Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Mali, Ciad e Senegal. Un’opportunità per giornalisti, blogger e influencer di comprendere il sistema di disinformazione messo in atto da alcuni attori statali e non statali desiderosi di guadagnare terreno nel continente africano.
Se nei discorsi ufficiali l’ambizione reiterata riguarda la cooperazione in materia di sicurezza, sullo sfondo i poteri usano tutti i mezzi per influenzare la classe politica, la società civile e le popolazioni al punto da rappresentare una grave minaccia per la democrazia africana. In effetti, le fake news diffuse come campagne di disinformazione, a volte contro le potenze occidentali, ad esempio, sono diventate un veleno per le democrazie africane.
Un esempio si presenta spesso quando si parla di fake news; Si tratta di farmacie legate al Cremlino come iniziativa africana, vicine alle reti del defunto oligarca Evgueni Prigogine. Questa agenzia, che si presenta come organismo indipendente, svolge diverse attività di disinformazione sul suolo africano. Recentemente un consorzio di giornalisti attorno all’organizzazione Forbidden Stories ha documentato un sistema di manipolazione nella Repubblica Centrafricana e nel Sahel. I dati analizzati portano tutti alla stessa osservazione: l’Africa è un terreno di gioco per la disinformazione e la propagazione di notizie false, ponendo quindi seri rischi per le conquiste democratiche del continente africano.
Secondo un rapporto pubblicato nel marzo 2024 dal Centro di studi strategici per l’Africa (CESA), l’ex Unione Sovietica è responsabile di 80 campagne di disinformazione nel continente dal 2022. Questa cifra rappresenta quasi il 42% del totale delle 189 censite e rende il paese il principale fornitore di campagne di disinformazione davanti a Cina ed Emirati Arabi Uniti.
“Queste 80 campagne hanno raggiunto diversi milioni di utenti grazie a pagine false e messaggi coordinati.
Qual è l’obiettivo desiderato?
“La strategia della disinformazione equivale a minare la democrazia in almeno 19 paesi africani, contribuendo così al declino del continente su questo fronte”, indica la CESA.
Sebbene il numero di campagne sia elevato, l’obiettivo è lo stesso. Diffondere in massa, da un lato, contenuti che vantano l’impegno del Cremlino nei confronti dei paesi africani attraverso la presenza di mercenari dell’Africa Corps. Dall’altro, denigrare la Francia per il suo “neocolonialismo” che permetterebbe comunque al paese di continuare a saccheggiare le risorse africane, gli Stati Uniti per il loro “imperialismo” e istituzioni come l’Unione Europea e le Nazioni Unite.
Il Sahel, laboratorio privilegiato della disinformazione russa
Di tutte le regioni dell’Africa, il Sahel è il terreno di gioco preferito dalle agenzie di disinformazione con l’obiettivo di far avanzare le loro pedine nella lotta per l’influenza. L’avvento al potere delle giunte in Mali, Burkina Faso e poi in Niger ha fornito acqua al mulino della macchina della disinformazione. Allo stesso tempo, la repressione delle voci dissidenti da parte delle giunte ha portato a un netto deterioramento delle condizioni di lavoro dei giornalisti e dei media.
Questa situazione è stata documentata anche dal collettivo di giornalisti investigativi Forbidden Stories e dai suoi 10 partner internazionali.
Nell’ambito della sua indagine, l’organizzazione rivela anche i mezzi adottati da Mosca per sfruttare i media e manipolare l’opinione pubblica nella regione.
Questi includono vantaggi come viaggi in Russia per opinion leader, corsi di formazione per giornalisti o l’organizzazione di giornate culturali nei paesi AES, come in Mali lo scorso agosto. Nella sua ricerca di influenza, il Cremlino fa affidamento anche su diverse organizzazioni, come l’African Initiative, fondata nel settembre 2023.
“Il suo obiettivo è consentire a Mosca, attraverso i suoi servizi segreti e i suoi agenti d’influenza, di riprendere il controllo dell’apparato di propaganda costruito da Yevgeny Prigogine. Se l’offensiva russa nel continente africano è iniziata con attività clandestine, ora le operazioni sono presupposte e centralizzate”, indica Forbidden Stories.
Tra i casi più eclatanti di disinformazione russa nei paesi AES c’è la divulgazione nell’aprile 2022 di un video che mostrava corpi sepolti sotto la sabbia di Gossi in Mali con un uomo che indicava la fossa comune come “opera” di Barkhane. La realtà è che l’esercito francese aveva appena consegnato il campo di Gossiaux alle forze militari maliane e che le vittime erano il risultato di un’operazione condotta a Hombori congiuntamente dall’esercito maliano e da mercenari russi nello stesso mese.
Più in generale, la rete di giornalisti indica che i metodi adottati nel Sahel sono identici a quelli adottati nel 2018 all’arrivo dei mercenari del gruppo Wagner nella Repubblica Centrafricana.
Una minaccia alla stabilità democratica
Nel continente, la propaganda e la disinformazione messa in atto dalla Russia rappresentano un grave rischio per il funzionamento della stampa nella regione del Sahel. L’atmosfera di terrore creata sul campo e sui social network soffoca sempre più le voci dissidenti e limita il lavoro dei giornalisti indipendenti che ora temono per la propria vita.
In un simile contesto, la democrazia e le libertà fondamentali sono minacciate. È quindi necessario, anzi vitale, che i paesi africani pongano al centro delle loro strategie la lotta alla disinformazione in tutte le sue forme e qualunque sia la sua origine.
Mamadou Cissé giornalista
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