La DG dell’OMS ha invitato gli Stati Uniti a riconsiderare la propria decisione, ricordando che le sfide sanitarie del 21° secolo, dalle pandemie alla resistenza antimicrobica, richiedono una risposta collettiva.
Il 20 gennaio 2025 rimarrà una data con gravi conseguenze per la governance sanitaria globale. Con una mossa coraggiosa e controversa, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che formalizza il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Un annuncio scioccante, che solleva tante domande quanto lascia zone grigie.
Per giustificare questo disimpegno, l’amministrazione americana cita vecchie e profonde lamentele: una gestione considerata disastrosa della pandemia di Covid-19, riforme attese ma mai realizzate, e un’influenza politica che considera scandalosa, in particolare quella esercitata da Pechino. Tra i punti più dibattuti c’è anche il contributo finanziario sproporzionato degli Stati Uniti, che, in quanto principale donatore dell’Organizzazione, hanno assorbito circa il 20% del suo budget complessivo, ovvero 679,6 milioni di euro nel 2022. Una somma che Washington considera sproporzionata rispetto ai contributi di paesi come la Cina, nonostante sia molto più popolata.
Negli accoglienti corridoi di Ginevra, dove ha sede l’OMS, lo stupore è totale. L’Organizzazione, di fronte a quello che potrebbe essere un colpo finanziario, ha espresso il suo profondo rammarico. Tedros Adhanom Ghebreyesus, il suo direttore generale, ha invitato gli Stati Uniti a riconsiderare la propria decisione, ricordando che le sfide sanitarie del 21° secolo, dalle pandemie alla resistenza antimicrobica, richiedono una risposta collettiva. Ma dietro le dichiarazioni ufficiali, la preoccupazione è palpabile. Questo ritiro mette a repentaglio programmi cruciali per combattere malattie come l’HIV/AIDS, la malaria e la tubercolosi, flagelli che continuano a devastare le regioni più vulnerabili del globo.
Per gli esperti di sanità pubblica lo shock è immenso. Lawrence Gostin, una figura rispettata nel campo del diritto sanitario globale, definisce la decisione degli Stati Uniti un “colpo mortale” per gli sforzi sanitari internazionali. “È come rimuovere un pilastro centrale da un edificio già fragile”, lamenta. Ashish Jha, ex coordinatore della gestione della pandemia alla Casa Bianca, è d’accordo con questa analisi: “Questa decisione apre alla Cina la possibilità di aumentare la sua influenza all’interno dell’OMS, con tutte le implicazioni geopolitiche che ciò comporta”.
Ed è proprio qui che risiede uno dei temi più delicati di questa decisione: le ricadute geopolitiche. Privata del sostegno di Washington, l’OMS potrebbe vedere Pechino, con la sua espansione diplomatica e la sua strategia di investimenti nel Sud del mondo, occupare un ruolo dominante. Una ridistribuzione delle carte che potrebbe alterare le priorità sanitarie globali, ma anche gli equilibri di potere all’interno dell’Organizzazione.
Il ritiro americano, tuttavia, non è il primo. Nel 2020, Donald Trump aveva già avviato un approccio simile, interrotto bruscamente da Joe Biden al suo arrivo alla Casa Bianca.
Ma questa volta il tono è più definitivo e le alternative proposte dall’amministrazione Trump più nette: reindirizzare i fondi verso iniziative nazionali o bilaterali, individuando partner ritenuti più affidabili e trasparenti rispetto all’OMS. Una promessa che, secondo Daniel López Acuña, ex dirigente dell’Organizzazione, è più un pio desiderio che una soluzione pragmatica. “Sostituire l’OMS non è un compito semplice. Il suo ruolo non si limita alla gestione delle crisi, è una rete complessa che struttura le politiche sanitarie in tutto il mondo”, ricorda.
Al di là delle considerazioni finanziarie e diplomatiche, questa decisione pone una domanda più fondamentale: come rispondere collettivamente alle minacce sanitarie che non riconoscono né confini né sovranità? Il ritiro degli Stati Uniti non solo segna una frattura nella cooperazione internazionale, ma evidenzia anche i difetti di un sistema multilaterale che fatica a convincere e riformare.
In questo pezzo degli scacchi in cui ogni movimento ridefinisce l’equilibrio, l’OMS sta entrando in un periodo di turbolenza senza precedenti. Di fronte all’emergenza, la comunità internazionale dovrà mobilitarsi per preservare ciò che è essenziale: la salute delle popolazioni e la capacità di affrontare insieme le crisi future. Ma, per ora, il futuro si fa sempre più oscuro, e un mondo già diviso sembra allontanarsi sempre più dall’ideale di unità che un tempo ne costituiva il fondamento.