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“Rimaneva solo la foresta”: una foresta, un mondo

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È tutta una questione di arredamento. Lo sa meglio di chiunque altro Daniel Mason, lui che, nel suo quinto romanzo, Rimase solo la forestaracconta la storia di un luogo notando le tracce lasciate lì dai suoi abitanti, umani e non.

Da un seme di mela che finisce per germogliare nel ventre di un anonimo morto, moltiplicando storie interconnesse attraverso una struttura inventiva, il romanziere americano classe 1976, psichiatra e professore di letteratura a Stanford, disegnerà così quattro secoli di storia.

Veterano dell’esercito britannico ferito durante la guerra del 1759 nelle Piane di Abraham, alla ricerca della perfetta “mela coltello”, un uomo sceglierà un giorno di stabilirsi in mezzo ai “Boschi del Nord”. In questa sorta di Eden del Massachusetts occidentale, impossessandosi di una capanna in rovina e di qualche ettaro di foresta da disboscare, Charles Osgood vi pianterà una casa e un giardino, guardando al futuro, dedicandosi alla coltura delle mele e allevando le sue due figlie gemelle. .

Nel corso degli anni, nel cuore del New England, la casa si espanderà e si trasformerà, mentre i proprietari si succederanno. Lì si svolgeranno storie d’amore, vere o immaginarie, a volte anche scandalose, e sarà teatro di tragedie, a cominciare, ovviamente, da quella del passare del tempo. Dall’inizio alla fine, il romanzo racconta il ciclo della natura e il passaggio delle stagioni. La casa e gli alberi che la circondano, gli animali e gli insetti, gli oggetti che contiene, conservano e approfondiscono i loro segreti.

Uno schiavo in fuga, un cacciatore di schiavi assoldato. Un paesaggista e la collaboratrice domestica delle Azzorre che lo riporta in vita prima della morte, leggendo insieme Dickens, Hawthorne, Wordsworth e Poe nelle notti più buie.

Un mistificatore dell’inizio del XX secoloe secolo, fumatore e seguace di sedute di spiritismo, che sa nonostante tutto che i morti non se ne vanno: “Il mondo brulica di spiriti: mille angeli su un filo d’erba. » O anche uno schizofrenico che “cercò di catturare le sue allucinazioni” su nastro audio durante gli ultimi anni della sua vita. Fino ad oggi, questo gioiello rurale di lusso rustico è in vendita. “Viaggiare nel passato senza rinunciare ai comfort moderni! » promette l’annuncio immobiliare.

Per promuovere la continuità, l’autore di L’accordatore di pianoforte (Plon, 2003) attinge a diverse forme letterarie – corrispondenza e racconti, canzoni e poesie, cronaca giuridica -, tessendo una polifonia di voci di uomini e donne e di fantasmi che attraversano i secoli.

Daniel Mason ce lo conferma: proprio come i suoi personaggi, noi apparteniamo alla terra, e non viceversa. Senza la natura, la terra sotto i nostri piedi, gli alberi sopra le nostre teste, il vento, le spore, l’acqua, senza gli animali che rendono il nostro mondo complesso e vivo, testimoni silenziosi della nostra agitazione e della nostra follia, non ci sarebbe vita che valga la pena. avendo.

Rimase solo la foresta

★★★★

Daniel Mason, tradotto da Claire-Marie Clévy, Buchet-Chastel, Parigi, 2024, 512 pagine

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