Il 13 novembre 1995, il sostituto del capo dell’ufficio commerciale della Missione egiziana fu ucciso a Ginevra con sei colpi di pistola. Lunedì è iniziato presso il Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona il processo contro il presunto assassino e il suo complice, dopo la riapertura del caso nel 2018 (vedi riquadro).
Secondo l’accusa, “Momo”, italo-ivoriano di 54 anni, “avrebbe agito su richiesta di una o più persone non identificate e per un compenso non determinato”. Oltre all’omicidio, è accusato di una ventina di reati; stupro, falsa detenzione, lesioni personali, frode, gestione scorretta e illecita, pornografia, solo per citarne alcuni. La sua complice, una donna franco-svizzera di 49 anni – fidanzata di “Momo” all’epoca dei fatti – è accusata di complicità nell’omicidio, per aver fabbricato il silenziatore utilizzato per l’omicidio.
Lunedì gli imputati sono stati interrogati sulla loro situazione personale. Interrogato sulla sua formazione, Momo, un uomo forte vestito con un maglione di canguro e pantaloni beige, con scarpe da ginnastica – che non capisce perché sia coinvolto in questo caso di omicidio – ha detto alla corte che era “non molto accademico”. Padre di tre figli, raccontava di essere stato venditore, garage e meccanico. Secondo quanto riferito, possiede una quindicina di auto da collezione per un valore di quasi un milione di euro e sbarca in Francia, Italia e Costa d’Avorio. Secondo il rapporto di Champ Dollon dove è detenuto – e dove ha conseguito il diploma di panettiere – Momo ha un comportamento esemplare.
Da parte sua, l’imputata, un’estetista indipendente di Ginevra, che non ha alcuna condanna al suo attivo, ha spiegato come questa procedura le fosse «ricaduta addosso». Il suo arresto e quaranta giorni di detenzione, tra metà novembre e fine dicembre 2018, hanno avuto “effetti devastanti” sui suoi figli, di cui aveva l’affidamento esclusivo, sulla sua attività professionale e sulle sue finanze. “Nel mio campo, dicembre è il mese in cui mettiamo da parte i soldi per i momenti più difficili”.
Un omicidio avvolto nel mistero
La sera del delitto, 29 anni fa, nel parcheggio sotterraneo di un edificio a Ginevra, gli autori non erano stati trovati. Ma nuovi elementi hanno potuto essere raccolti grazie agli sviluppi tecnologici legati al DNA e il presunto colpevole, nonché il suo possibile complice, potevano essere rintracciati già nel 2018. All’epoca, la vedova del diplomatico non aveva voluto sporgere denuncia. Secondo gli investigatori gestiva i conti in Svizzera dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak e si era attirato l’ira del regime per le sue aspre critiche.
Nelle prossime settimane i due imputati verranno ascoltati sui fatti. Anche gli otto denuncianti e un agente sotto copertura verranno intervistati prima che abbiano luogo le dibattimenti. La sentenza è attesa per il 27 gennaio.
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