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HIV: troppe persone diagnosticate in uno stadio avanzato di…

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FEMINA Nel 2024, abbiamo l’impressione che l’AIDS sia storia antica…
Per Alexander Calmy
In effetti, c’è una certa stanchezza nei confronti dell’HIV/AIDS. Noi, come operatori sanitari e scienziati, dobbiamo riconoscere la nostra parte di responsabilità. Abbiamo proclamato a gran voce che il virus non si trasmette con un trattamento efficace e che le persone che vivono con l’HIV dovrebbero essere considerate come qualsiasi altra persona affetta da una malattia cronica. Queste affermazioni, sebbene accurate, derivano dai grandi progressi scientifici, medici e sociali degli ultimi anni. Tuttavia, hanno anche contribuito a trasmettere l’idea che oggi l’AIDS non è più un problema.

Infatti, a livello globale, le infezioni da HIV continuano a diminuire.
Sì, nel complesso è corretto, ma le cifre rimangono eterogenee. Nel continente europeo, ad esempio, il numero dei contagi continua ad aumentare, così come il tasso di mortalità.

Quindi non si può più davvero parlare di epidemia?
Un’epidemia può essere considerata sotto controllo solo se è sotto controllo ovunque e per tutti i gruppi di popolazione colpiti. Fino a quando ciò non accadrà, è prematuro rallegrarsi. Per raggiungere gli obiettivi di salute pubblica, potrebbe essere necessario prendere in considerazione nuove strategie, in modo che nessuno venga lasciato indietro.

Qual è la situazione in Svizzera?
Negli ultimi anni, nonostante il calo del Covid (ndr: in Svizzera come altrove, il Covid ha ridotto le capacità di screening, a causa del confinamento e della chiusura di molti centri dedicati), le cifre complessive rimangono abbastanza stabili, con 371 nuovi contagi da HIV diagnosticato nel 2022, secondo gli ultimi dati resi pubblici dall’Ofsp. E ci sono sempre pazienti con malattie gravi legate all’HIV che vengono ricoverati in ospedale, il che ci preoccupa. Naturalmente in Svizzera abbiamo la fortuna di beneficiare di cure anti-HIV innovative ed efficaci, nonché di strutture mediche di altissima qualità. Le persone che vivono con l’HIV vengono assistite in modo esemplare, ma rimaniamo vigili per preservare e rafforzare questo modello.

Lo screening ne fa parte?
Sì, lo screening è essenziale. Inoltre, la Svizzera è tra i paesi in cui non è del tutto libera. Ci sono tanti buoni motivi per sottoporsi al test, ma purtroppo nel nostro Paese ancora a troppe persone viene diagnosticata l’infezione in uno stadio già avanzato.

Come spiegarlo?
È essenziale andare oltre le caricature legate all’HIV e offrire il test a tutte le persone che lo desiderano, che lo richiedono o che presentano sintomi suggestivi. Ciò deve essere fatto senza discriminazioni o idee preconcette.

La professoressa Alexandra Calmy, capo dell’unità HIV/AIDS dell’HUG. © ABBRACCIO/FRANCOIS SCHAER

La stigmatizzazione subita dalle persone affette da HIV è ancora forte?
SÌ. E questo mette in discussione anche la professione medica. All’ultimo congresso mondiale sull’AIDS a Monaco c’è stata una presentazione molto interessante; si è concentrato sulla stigmatizzazione vissuta dalle persone che vivono con l’HIV in contesti sanitari. Pertanto, il 57% degli operatori sanitari si è sentito preoccupato all’idea di somministrare una benda o di prelevare il sangue a una persona affetta da HIV, e queste cifre sono allarmanti. Dobbiamo migliorare l’informazione, la comunicazione e allontanarci dalle caricature… diffuse anche nei sistemi sanitari.

Lo vediamo soprattutto nei corsi di educazione sessuale, la questione dell’AIDS viene affrontata raramente… I giovani oggi si sentono preoccupati?
È vero che vogliamo affrontare il problema della contraccezione e delle malattie sessualmente trasmissibili, compreso l’HIV, in tempi molto brevi; il rischio è quindi quello di rendere invisibile l’Aids, e di dissolverne i messaggi. L’HIV non rientra infatti tra le preoccupazioni dei giovani di oggi. Le generazioni più giovani non hanno vissuto gli anni bui dell’Aids, ed è del tutto normale che prendano le distanze da queste immagini. Ma d’altro canto per alcuni di loro l’HIV non esiste più e quindi i messaggi di prevenzione sono poco efficaci contro una malattia diventata invisibile.

Oggi si può curare l’AIDS?
È corretto dire che esistono i cosiddetti casi “guariti” di AIDS, ma nel mondo ce ne sono solo sette o otto, su 40 milioni di persone che vivono con l’HIV. I casi descritti come “guariti” hanno tutti richiesto un trapianto di midollo osseo, una procedura estremamente complessa e rischiosa, che verrebbe presa in considerazione solo in situazioni molto specifiche (ad esempio per curare un cancro del sangue). Il paziente di Ginevra (un caso di remissione dell’HIV dopo trapianto di midollo ndr) ha fornito preziose informazioni sui meccanismi che permettono il controllo del serbatoio virale. Nonostante siano stati compiuti progressi, la ricerca ha ancora molta strada da fare.

Cosa ti motiva?
Spesso mi viene chiesto perché mi impegno nella lotta per la cura dell’AIDS, dal momento che le cure sono molto efficaci. Tuttavia, questo mi sembra il modo migliore per migliorare la qualità della vita delle persone colpite e ridurre la discriminazione. Guarire è ritrovare una forma di normalità, in tutti gli aspetti della vita, sociale, affettiva e intima.

I numeri

Il 97% delle persone con HIV in trattamento hanno una carica virale inferiore alla soglia necessaria per prevenire qualsiasi trasmissione. In Svizzera ne sono colpite circa 18’000 persone. Uno studio svizzero dimostra che lo stigma rimane forte: l’84% dei partecipanti esprime preoccupazione nel rivelare il proprio stato di HIV e il 37% riferisce di una sensazione di discriminazione nell’assistenza. (fonte: abbraccio.ch)

Programma della giornata dedicata organizzata a Ginevra.

©DR

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