Con un gesto rapido, Nabil Abuznaid sposta il cavalletto da scrivania recante la scritta “Stato di Palestina” alla sua destra. Poi, ambasciatore palestinese nei Paesi Bassi, guarda le lettere incise in bianco, tende il braccio e, con un tocco leggero sul suo smartphone, immortala il momento: il 24 giugno 2015, la Palestina siede per la prima volta tra gli Stati membri della la Corte Penale Internazionale (CPI), dell’Aia. Si tratta di un passo fondamentale in una lunga e aspra battaglia diplomatico-giudiziaria. Un’offensiva lanciata da Gaza, Ramallah, New York e Lione, volta a inserire la questione palestinese nell’agenda della giustizia internazionale e a porre fine all’impunità che circonda il sistema di occupazione israeliano dal 1967. Ora gli israeliani possono diventare i miei vicini di prigione. Ma questa volta non avranno le chiavi.” esulta Nabil Abuznaid in questo giorno di giugno 2015.
Lanciata a metà degli anni 2000 da un manipolo di avvocati di Gaza, ai quali si è poi aggiunta l’Autorità Palestinese, rallentati da una valanga di ostacoli, colpiti da guerre e minacce, questa operazione alla fine è riuscita. Giovedì 21 novembre, la Corte penale internazionale ha posto sotto mandato di arresto internazionale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Tutto è iniziato nel giugno 2006. L’operazione militare israeliana “Summer Rains” si è abbattuta sulla Striscia di Gaza. Scattata in risposta alla cattura del caporale israeliano Gilad Shalit da parte dei combattenti di Hamas, è la prima di una serie di sei guerre che devasteranno l’enclave costiera. Nei locali del Centro Palestinese per i Diritti Umani, che dirige a Gaza City, Raji Sourani, 53 anni, si è convinto che le prove degli abusi israeliani, raccolte con cura per anni dai suoi dipendenti, dovrebbero consentire di deferire i casi alla CPI , creato nel 1998 dallo Statuto di Roma e istituito nel 2002.
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È con questa fede ancorata nel suo corpo che arriva all'Aia, per un incontro con Luis Moreno Ocampo, il primo procuratore della Corte. “Ha provato fin dall'inizio a scoraggiarmi, mi ha detto che se gli americani non lo avessero accettato non avrebbe mai aperto un'indagine” dice l'avvocato di Gaza, contattato telefonicamente a giugno. Le possibilità di un via libera da Washington sono pari a zero. Gli Stati Uniti, che non hanno firmato lo Statuto di Roma, sono diffidenti nei confronti di questo tipo di organismo internazionale. Proibiscono ai giudici dell'Aja di interessarsi alle azioni delle loro truppe in Afghanistan così come a quelle dei loro alleati, come Israele.
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