In origine esisteva una misura che avrebbe dovuto contribuire a curare una malattia francese: la “smicardizzazione”, che ha visto all’inizio del 2024 quasi il 14,6% dei dipendenti del settore privato percepire il salario minimo, un tasso ancora troppo elevato nonostante un calo rispetto al 2023 (17,3 %). La colpa, hanno spiegato in particolare i datori di lavoro francesi, è l'aumento troppo rapido dei contributi previdenziali che devono versare sui salari compresi tra il salario minimo e 1,6 del salario minimo, il che crea effetti soglia. Al termine della revisione del bilancio 2025 forse ci saranno ancora questi effetti soglia, quindi potenziale stagnazione salariale, e come bonus, già che ci siamo, sette ore aggiuntive di lavoro non retribuito per i lavoratori. “Lavorare di più per guadagnare di meno” ha sintetizzato martedì 19 novembre la segretaria generale della CGT, Sophie Binet, a France 2. Si tratta dell'esame del progetto di legge sul finanziamento della previdenza sociale (PLFSS) per il 2025, attualmente nelle mani della maggioranza di destra del Senato.
Martedì 19 novembre in serata, i senatori hanno adottato un emendamento, proveniente dalla commissione affari sociali e portato avanti dalla sua relatrice generale, la centrista Elisabeth Doineau (UDI), che attenua notevolmente gli effetti dell'articolo 6 del PLFSS che prevede una revisione del il millefoglie delle esenzioni dai contributi a carico del datore di lavoro (“riduzione delle tariffe”), nel vocabolario della destra). L’aumento di quattro punti (in due anni) dell’aliquota contributiva al livello del salario minimo, un reddito finora quasi esente per il datore di lavoro, avrebbe dovuto portare entrate considerevoli, ma essere accompagnato, nel 2026, anche da un livellamento delle esenzioni contributive tra 1,3 e 1,9 salario minimo. Pertanto, i datori di lavoro sarebbero incoraggiati a spostare i propri dipendenti in queste fasce salariali.
La misura è stata direttamente ispirata al corposo rapporto presentato in ottobre dagli economisti Antoine Bozio e Etienne Wasmer, con la (e notevole) differenza che loro proponevano di realizzare questo sviluppo a costi costanti, mentre il governo ha scelto di ricavare entrate aggiuntive, del ordine di 5 miliardi di euro nel 2025. Da qui una rivolta unanime, proveniente in particolare da settori datoriali come quello della pulizia, dove la maggioranza dei dipendenti (e soprattutto delle lavoratrici) sono al salario minimo. Ma anche dalla “base comune” su cui si fonda il governo di Michel Barnier, all’interno della quale soprattutto i macronisti si oppongono ferocemente a qualsiasi aumento del “costo del lavoro”. Di conseguenza, l’articolo 6 del PLFSS è stato respinto dall’Assemblea nazionale da un fronte formato da LR, macronisti e RN, che non ha nemmeno proposto alcuna modifica.
Corsia centrale
I senatori hanno proposto una via di mezzo. Hanno annullato l’aumento dei contributi al salario minimo, ma lo hanno parzialmente compensato rafforzando la misura del governo sugli stipendi più alti. Così, le esenzioni dai contributi sanitari (la cosiddetta “fascia sanitaria”), che attualmente scadono a 2,5 del salario minimo, finirebbero a 2,1 del salario minimo invece del 2,2 del progetto del governo, e quelle sui contributi familiari (la “bandiera della famiglia”) terminano a 3.1 SMIC, invece di 3.5 SMIC secondo la normativa attuale e 3.2 SMIC nel progetto governativo.
Nel 2025 il provvedimento senatoriale ridurrebbe il rendimento atteso di 1 miliardo di euro, portandolo così a 4 miliardi di euro, sostiene la commissione Affari sociali. Il compromesso piace al governo, che ha emesso un parere “di saggezza”, Mercoledì 20 novembre, la Ministra del Lavoro, Astrid Panosyan-Bouvet, ha difeso ancora la filosofia del provvedimento sull'LCI, ricordando che secondo il consenso scientifico, “l’impatto sull’occupazione è minore” riguardante le esenzioni sugli stipendi elevati. Pochi giorni prima, il ministro del Bilancio, Laurent Saint-Martin, si era detto pronto ad accettare che il ritorno della misura fosse dimezzato.
Nel processo, questo mercoledì sera, i senatori hanno adottato un altro emendamento, sempre della commissione per gli affari sociali e portato avanti da Elisabeth Doineau, che prevede “un aumento di sette ore dell'orario di lavoro annuo, a tempo pieno, delle persone occupate, sia nel settore privato che nelle funzioni pubbliche”. Questo aumento non retribuito dell'orario di lavoro, compensato dal raddoppio del contributo dei datori di lavoro all'autonomia (dallo 0,3% allo 0,6% della busta paga), equivale concretamente a raddoppiare la “giornata di solidarietà” istituita nel 2004, ma senza puntare su un giorno festivo particolare . Non sorprende che il provvedimento venga respinto dai sindacati, denunciando al congresso la segretaria generale della CFDT, Marylise Léon. Mondo di «vecchie ricette, vecchi luoghi comuni che abbiamo sentito mille volte, con l'idea che le aziende sono esaurite e che gli sforzi devono sempre ricadere sui dipendenti».
Datori di lavoro non entusiasti delle sette ore di solidarietà
Né è chiaramente sostenuto dai datori di lavoro. Medef si limita a ripetere il suo mantra secondo cui “dobbiamo aumentare la quantità di lavoro per finanziare il modello sociale”, ma non commenta ulteriormente, in questa fase, i mezzi messi sul tavolo per raggiungere questo obiettivo, dice. Più severi sono il CPME e l’U2P. Nel caso in cui si tratti di ritornare in un giorno festivo, “la questione dell’apertura delle scuole è importante”, stima Eric Chevée, vicepresidente della prima. Michel Picon, presidente della seconda, non vede come la misura potrebbe essere applicata tra gli artigiani e i commercianti che rappresenta. Rimuovere la RTT dai dipendenti? “Nelle nostre aziende difficilmente esistono”. Chiedere loro di lavorare qualche minuto in più a settimana? “Solo chi non ha mai lavorato in un negozio o in un cantiere edile pensa che abbia senso”, aggiunge. Per lui, alla fine, si potrà solo raddoppiare il contributo delle imprese al ramo autonomia.
Niente che abbia scoraggiato, però, i senatori centristi e di destra, che hanno adottato il provvedimento senza esitazione, uno di loro, il centrista Michel Canevet, proponendo addirittura fino a 18 ore di lavoro aggiuntivo. Il governo aveva però espresso un parere sfavorevole, per voce di Laurent Saint-Martin: “La questione dell’orario di lavoro non è un tabù e deve essere posta. Ciò dovrebbe avvenire oggi attraverso una modifica al PLFSS? La posizione del governo è no. Penso che potrebbe essere una buona idea che si possa lavorare su questo con le parti sociali”.
Resta da vedere cosa resterà di questi due emendamenti nel testo finalmente promulgato. Sarà questa la sfida della commissione paritetica, composta da sette deputati e sette senatori, che avrà il compito di elaborare un testo che sintetizzi le posizioni di ciascuna Camera. Intanto, per il momento, l'esame del Plfss al Senato non va a vantaggio dei dipendenti.
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