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La disumanizzazione delle biblioteche – Il Corriere

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“La macchina che rende le biblioteche (ancora) più umane.” Questo è il titolo – un po’ dissonante per le orecchie più basse – apparso in prima pagina della rivista delle biblioteche comunali (BM) della città di Ginevra in un numero recente. La macchina, o meglio le macchine “umanizzanti” in questione, sono i terminali di prestito e restituzione dei documenti; è apparso nelle biblioteche all’inizio degli anni 2010.

Hanno sopportato a lungo un’esistenza triste, scandita da ripetuti guasti, fino a quando la recente introduzione di un modello più efficiente ha permesso loro di realizzare pienamente la loro vocazione: quella di partner essenziali per gli utenti BM. Oggi non è più possibile prendere in prestito, e nemmeno, in alcune biblioteche, restituire libri allo sportello con un essere umano, tranne in circostanze eccezionali (ad esempio dimenticando la tessera).

L’articolo a cui si riferisce questo titolo paradossale e provocatorio consiste in un’intervista congiunta con il direttore della biblioteca e il responsabile delle risorse digitali del BM, ed è chiaro che le argomentazioni da lui avanzate non possono essere ignorate.

I terminali sarebbero innanzitutto vantaggiosi dal punto di vista ergonomico per i bibliotecari, ai quali risparmierebbero la ripetizione restrittiva di gesti legati al prestito e alla restituzione di documenti. Avrebbero quindi grandi vantaggi in termini di riservatezza: “Le persone non vogliono necessariamente essere viste prendere in prestito titoli come ‘Divorzio for dummies’, ‘Gestire il licenziamento’ o ‘Trovare un lavoro a 50 anni’. Lo stesso vale per i ragazzi che prendono in prestito libri sulla pubertà”.

Ma l’argomento principale sta proprio nell’idea di una “umanizzazione” del servizio: “I terminali ci liberano da certi compiti meccanici lasciandoci più tempo per interazioni più gratificanti, incentrate sul sostegno al pubblico”. In questo senso, recentemente sono stati sviluppati nuovi programmi personalizzati di consulenza e supporto.

Macchine per professionisti?

Accanto a questo slancio di entusiasmo, l’articolo cita rapidamente “alcuni colleghi [bibliothécaires] ancora in riserva” in relazione ai terminali. Abbiamo intervistato una di queste colleghe, Pauline (nome di fantasia), che però non è “in riserva” (e ancor meno “ancora” in riserva, cioè destinata a lasciarla prossimamente – un curioso modo di descrivere le voci discordanti), ma mostra un’opinione critica e contrastante.

Inizialmente non sembra impressionata dalle dichiarazioni sui nuovi programmi di sostegno, che non fanno altro che ripetere pratiche già esistenti sotto un bel nome. Lei approva il discorso della riservatezza consentita dai terminali, meno quello della fatica fisica: in ogni caso, i bibliotecari devono ritirare i libri restituiti ai terminali e rimetterli sugli scaffali, il che comporta una certa dose di gesti antiergonomici.

Per quanto riguarda la questione della socialità, Pauline si dichiara “abbastanza influenzata dal libro Atelier paysan Riprendere la terra dalle macchine. L’idea che si possano avere macchine che si conoscono, che si padroneggiano… Le macchine non sono necessariamente cattive, possono essere interessanti se sono al servizio dei professionisti, e non il contrario”. In particolare, l’introduzione dei terminali ha spinto molti utenti a porsi domande che non si erano mai poste, soprattutto riguardo al lavoro di bibliotecario, innescando scambi fertili e senza precedenti.

In sintesi, per Pauline, “può essere divertente indirizzare le persone verso i terminal, ma dobbiamo essere molto più mobili e accoglienti, altrimenti non succede nulla, dato che le persone non vengono verso di noi”. Ma, soprattutto, devono almeno avere la possibilità di scegliere se indirizzare le loro transazioni a una macchina o a un bibliotecario.

Una pseudo scelta

Oggi, però, questa scelta è sempre meno possibile. Se, ufficialmente, gli utenti possono scegliere di effettuare transazioni con esseri umani, c’è una forte pressione da parte della direzione sui gestori delle biblioteche e sui bibliotecari affinché quante più transazioni possibili siano effettuate con limiti, supportando le quote. Quindi, se vi recate allo sportello e insistete per prendere in prestito o restituire i vostri documenti al bibliotecario di turno, molto spesso vi verrà rifiutato, più o meno timidamente o convinto.

Tuttavia, come nota Pauline, in qualsiasi biblioteca, almeno uno o due dipendenti devono essere permanentemente dietro uno sportello per occuparsi di eventuali registrazioni, prenotazioni, fatture e transazioni con le comunità (asili nido, scuole, associazioni), che non possono essere effettuate da macchine. In pratica, c’è sempre almeno uno di questi bibliotecari “bloccati” disponibile. Di conseguenza, le operazioni di prestito e restituzione effettuate con loro non competono con interazioni “più gratificanti” di sostegno e consulenza, contrariamente a quanto lascia intendere l’articolo della rivista BM e la comunicazione ufficiale sui terminali.

Al contrario, oggi, una folla di persone che viene solo per prendere in prestito o restituire documenti si ritrova ad entrare e uscire dalla propria biblioteca, incrociando bibliotecari seduti da soli dietro un bancone e finendo per non “interagire” solo con oggetti inanimati. Che bella umanizzazione!

Contrastare la corsa al digitale

L’imposizione indiscriminata di terminali nelle biblioteche ginevrine e la mancanza di considerazione per le voci dissenzienti delle persone principalmente interessate da queste macchine – bibliotecari, utenti – riflettono un atteggiamento preoccupante da parte della direzione del BM, atteggiamento purtroppo interiorizzato da un certo numero dei bibliotecari sul campo. Questa folle corsa al digitale è legata al recente attribuzione del BM all’Assessorato alla Cultura e… alla transizione digitale!

Nel frattempo, è ancora possibile trovare, nella maggior parte delle biblioteche, dipendenti disposti a contribuire volentieri alla realizzazione di un’azione storicamente normale ma che è diventata, a Ginevra e altrove, una sorta di percorso a ostacoli: restituire e prendere in prestito libri da un essere umano.

Oltre alla questione della socialità, dovremmo anche interrogarci sull’impatto ambientale dei terminali di prestito e restituzione nel contesto dell’invasione digitale della nostra società. È davvero responsabile, in tempi di crisi ecologica, introdurre nelle biblioteche macchine la cui produzione ed eliminazione contribuiscono alla distruzione irreversibile dell’ambiente, anche se queste macchine sono, in definitiva, assolutamente superflue?

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