Tradizionalmente, le questioni di politica internazionale hanno un peso minimo nel bilancio elettorale americano. Ma questa volta le cose sembrano un po’ diverse. La guerra israeliana a Gaza e il suo rapporto quotidiano di vittime, insieme all’incapacità diplomatica americana di fermare questa dinamica di violenza, hanno profondamente scioccato gli americani.
Anche se pochi giorni ci separano dalle elezioni americane che determineranno il successore di Joe Biden alla Casa Bianca, è molto intelligente chi può azzardare una certa previsione. Numerosi sondaggi mettono i due candidati, la democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump, testa a testa in quello che da tempo determina l’esito di queste elezioni presidenziali americane, gli Swing States.
Questo clima di incertezza e di suspense è il risultato di due fatti politici fondamentali. Il primo è che Kamala Harris sembra aver raggiunto una sorta di soffitto di vetro. La dinamica della sua nomina al posto di Joe Biden, impedita dall’età, delle molteplici mobilitazioni del mondo dello spettacolo, delle arti e dei media, delle femministe, della sinistra americana, degli ambienti convinti anti-Trump, ha finito per mostrare i suoi confini. I sondaggi non prevedono alcuna impennata democratica. Al contrario, Donald Trump resiste con forza alle accuse lanciate contro di lui da tutti coloro che lo considerano un pericolo per la democrazia americana.
Il secondo dato è proprio da ricercare nelle fonti di questa resistenza di Trump a tutte le critiche, anche le più fondate. Nonostante uno stile di provata demagogia, atteggiamenti politici che rasentano quotidianamente le fake news, è riuscito a mantenere un serbatoio di voti e seguaci che lo tiene in corsa per la Casa Bianca, anzi, che lo posiziona come il favorito di queste elezioni. È chiaro che Trump ha completamente dissipato i timori migratori e il degrado economico del paese sotto il governo democratico per affermarsi come un’alternativa vincente per gli americani. La questione è se quest’uomo, miracoloso per essere scampato a un certo attentato, riuscirà a convincere la maggioranza degli americani a fidarsi nuovamente di lui e ad affidargli nuovamente le chiavi della Casa Bianca.
Tradizionalmente, le questioni di politica internazionale hanno un peso minimo nel bilancio elettorale americano. Ma questa volta le cose sembrano un po’ diverse. La guerra israeliana a Gaza e il suo rapporto quotidiano di vittime, insieme all’incapacità diplomatica americana di fermare questa dinamica di violenza, hanno profondamente scioccato gli americani. Quelli che vengono comunemente chiamati arabi americani e il cui potere di voto è attualmente concentrato nello stato del Michigan, attorno all’emblematica città di Dearborn, sono al centro di una massiccia seduzione elettorale da parte dei due candidati. Lo Stato del Michigan è uno di questi Swing States che può far cambiare direzione a questa battaglia presidenziale.
La comunità internazionale osserva questa competizione elettorale americana come latte sul fuoco. E per una buona ragione. L’eventuale vittoria di Donald Trump potrebbe rimescolare molte carte geostrategiche. Ad esempio, la guerra tra Russia e Ucraina potrebbe finire bruscamente a vantaggio di Mosca. Donald Trump non fa parte del fan club di V. Zelenskyj e potrebbe fermare gli aiuti militari ed economici che Washington concede all’Ucraina affinché possa resistere ai russi. Kiev non avrebbe altra scelta che negoziare una soluzione di fine guerra alle condizioni di Vladimir Putin.
D’altro canto, Donald Trump è un grande ammiratore del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che non mancherà di interpretare la vittoria di Trump come un via libera al proseguimento della sua strategia di guerra che mira a ricomporre la geografia politica dell’intero Medio Oriente.
Per quanto riguarda gli europei, il ritorno di Donald Trump agli affari a Washington è un dittatore di ansie e interrogativi. Il candidato repubblicano non è un sostenitore di questa relazione transatlantica in cui l’Europa fa affidamento esclusivamente sulla protezione militare americana senza doverne pagare il prezzo. Quando era presidente, Trump aveva minacciato in termini appena velati di abbandonare la famosa alleanza atlantica e di lasciare gli europei nudi di fronte alle minacce russe se non avessero dedicato il 2% dei loro bilanci alle questioni della difesa per poter acquistare attrezzature americane guerra.
Questa minaccia è ancora attuale e spingerà senza dubbio gli europei ad alimentare una riflessione collettiva sulla loro autonomia strategica… per poter un giorno garantire la propria sicurezza senza dover passare attraverso la scatola americana.
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