È diventato un rituale. Ogni mattina, quando la rete Internet non viene interrotta e quando non è costretto a fuggire con la famiglia dall’avanzata dell’esercito israeliano, Rami Abou Jamous posta due messaggi su “Gaza. Vie”, il gruppo WhatsApp che condivide con più di 150 giornalisti e operatori umanitari francofoni: “Ciao amici” et “Ancora vivo”. Quando il reporter di Gaza è lento a segnalare, a rispondere “Ciao Rummy” degli abbonati a questo prezioso canale di informazione, la preoccupazione è alle stelle. E quando, dopo qualche ora di pesante silenzio, i due messaggi preferiti si illuminano sugli schermi degli smartphone, l’applicazione risuona con un immenso “uff” di sollievo.
Sabato 12 ottobre, sul gruppo è scoppiato un fragoroso applauso. Il 31e edizione del Premio Bayeux Calvados-Normandie per corrispondenti di guerra ha assegnato a Rami Abou Jamous ben tre premi: il Premio della stampa scritta e il Premio Francia occidentale-Jean Marin per le sue cronache di guerra, pubblicate il Oriente 21 un magazine online dedicato al mondo arabo; e il premio televisivo di grande formato per un reportage trasmesso su BFM-TV. Un “grand slam”, mai visto prima nella storia del Premio Bayeux, che contraddistingue il lavoro caparbio compiuto da questo 46enne palestinese, nonostante la guerra che sta divorando la Striscia di Gaza.
Onorando Rami Abou Jamous, il Premio Bayeux rende omaggio anche al coraggio e alla resilienza di tutti i professionisti dei media a Gaza, una professione dissanguata. Secondo la ONG Reporter Senza Frontiere, in un anno, più di 130 giornalisti sono stati uccisi dalle forze israeliane a Gaza, di cui più di 30 mentre svolgevano il loro lavoro.
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“L’informazione sono anch’io”
Sul gruppo WhatsApp, dopo il rito mattutino, Rami Abou Jamous prosegue con le novità della notte. Un racconto spesso atroce, intessuto di bombardamenti, video di bambini mutilati e sfollamenti forzati. A intervalli regolari durante la giornata pubblica comunicati stampa di Hamas o dell’esercito israeliano, risponde alle domande dei suoi seguaci, condivide informazioni o analisi sotto forma di messaggio vocale. Un lavoro di monitoraggio e decrittazione, svolto con precisione impeccabile e con un tono miracolosamente affabile. E’ il suo marchio di fabbrica. Se avesse dato al suo gruppo WhatsApp, creato nel 2018, il nome “Gaza. Life”, andando contro le immagini tradizionalmente legate a questo territorio, è testimoniare la tenacia dei suoi abitanti, la loro forza d’animo.
Dall’inizio della guerra, nell’ottobre 2023, in seguito al sanguinoso attacco di Hamas in Israele, Rami Abou Jamous ha arricchito il suo flusso di informazioni con notizie più personali, sui suoi cari, su sua moglie Sabah e sul loro figlio Walid, 3 anni vecchio. Oltre a commentare la metodica e incessante distruzione della sua terra, il giornalista racconta la sopravvivenza quotidiana della sua famiglia: la loro epica fuga dal nord di Gaza a Rafah, nel sud dell’enclave. Poi, un secondo esodo forzato, il loro insediamento a Deir Al-Balah, in centro, vicino alla spiaggia, trasformato in un enorme campo improvvisato per migliaia di sfollati. “In questa guerra la novità è che l’informazione sono anch’io”osserva Rami Abou Jamous.
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