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come il conflitto in Medio Oriente mina l’unità della sinistra

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SYLVAIN THOMAS / AFP Dal 7 ottobre Jean-Luc Mélenchon difende un “cessate il fuoco immediato” a Gaza.

SYLVAIN THOMAS / AFP

Dal 7 ottobre Jean-Luc Mélenchon difende un “cessate il fuoco immediato” a Gaza.

POLITICA – Un anno dopo, le ferite sono ancora aperte. Il terremoto del 7 ottobre 2023 continua a produrre scosse di assestamento. Quel giorno, di primo mattino, terroristi in divisa militare arrivarono in moto e furgoni nel sud di Israele per massacrare un’intera popolazione. Il bilancio fu terribile: quasi 1.200 persone morirono e 250 furono tenute in ostaggio. Molto rapidamente, le reazioni si riversarono da tutto il mondo. Ovunque la stessa paura, lo stesso stupore, lo stesso sostegno alle famiglie delle vittime. All’interno della classe politica francese, il dramma si trasformò rapidamente in un tutti contro tutti e un regolamento di conti. In particolare a sinistra, dove sono riemersi risentimenti sepolti.

Pochi minuti dopo l’annuncio degli attentati, France Insoumise, allora il principale contingente di sinistra nell’Assemblea, ha diffuso un comunicato stampa intitolato “Israele-Palestina: per una pace giusta e duratura, fermare l’escalation”. Il gruppo presieduto da Mathilde Panot parla di a “offensiva armata delle forze palestinesi guidate da Hamas” e localizza gli attacchi “in un contesto di intensificazione della politica di occupazione israeliana a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est”. Jean-Luc Mélenchon ha immediatamente pubblicato un tweet in cui si è detto “inorridito” e indirizzare il suo ” pensieri “ e così via “compassione verso tutte le popolazioni sconvolte vittime di tutto questo”.

La macchina è già avviata. Lo zoccolo duro ribelle si rifiuta di parlare “terrorismo”il che implicherebbe la lotta del bene contro il male, sostiene Mélenchon, e si ritrova con le spalle al muro. E non sono sufficienti le giustificazioni (pericolose) citate dal diritto internazionale a convincere. Per i socialisti questo è un boccone difficile da digerire. “Che alcuni a sinistra parlino di Hamas come delle forze armate palestinesi mi disgusta. Hamas è un’organizzazione terroristica”risponde subito l’ex deputata del PS Valérie Rabault, senza nominare nessuno. L’8 ottobre Jérôme Guedj è stato invitato alla radio della comunità ebraica (RCJ). “Mi fa schifo vedere e constatare che alcune persone si sono subito trovate in una forma di relativismo, di licenziamento consecutivo, di assenza di quel minimo di compassione che costituisce la nostra comune umanità”il deputato dell’Essonne è indignato. Lui, il grande difensore dell’unione della sinistra, che pochi giorni prima reclamava una lista comune per gli europei, arriva a ritenere che “la domanda sorge spontanea” restare o meno nelle Nupes.

“Cattiva condotta politica”

Il 9 ottobre si è tenuta a Parigi una manifestazione a sostegno di Israele, alla quale ha partecipato il PS. Olivier Faure è criticato, i manifestanti lo accusano di restare legato alla LFI. Il giorno dopo, al Senato Pubblico, il Primo Segretario parla di disaccordo “ovvio”. “La colpa politica è quella di non aver riconosciuto fin dall’inizio che c’è stato un atto terroristico e di aver suggerito che Hamas potesse rappresentare il popolo palestinese. No, non è stato un atto di guerra, è stato un atto terroristico che meritava una condanna chiara e ferma.”. Non mette (ancora) in discussione l’unione della sinistra, ma assicura “che ci saranno delle spiegazioni da avere” tra i partner.

Tuttavia la rottura è già stata consumata. Figure unitarie come Clémentine Autain o François Ruffin cercano di ricordarci le differenze “non sono insormontabili”che sono possibili slogan comuni riguardanti un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi e una soluzione a due Stati. Ma il danno è fatto. Ognuno resta fermo sulle proprie posizioni. I ribelli rispondono alle critiche rivolte al PS, accusandolo di cercare un pretesto per sciogliere il sindacato. «È indegno usare la crisi internazionale per giustificare le proprie posizioni anti-Nupes. È un dibattito molto politico, che sembra completamente fuori sincrono. Li invito ad essere più solenni”accusa poi il deputato della LFI Paul Vannier. Olivier Faure lo indovina facilmente: “Questi incarichi lasceranno il segno”.

Se l’argomento è così controverso per la sinistra, è perché abbraccia temi molto più ampi e strutturanti. E questo fa eco a molte domande che sorgono in Francia. Il conflitto israelo-palestinese, riattivato il 7 ottobre, mette in discussione il rapporto con la violenza, mette in discussione il metodo anticoloniale e rimanda ogni persona alla propria identità e al modo in cui definisce se stessa. L’ultimo chiodo sulla bara del Nupes verrà dunque piantato il 17 ottobre. Quel giorno, riuniti in consiglio nazionale, i socialisti decisero di a “moratoria” sulla loro partecipazione a Nupes. Un modo per prendere le distanze dalla gestione ribelle senza operare una rottura netta e brutale. Gli avversari interni di Olivier Faure, però, avrebbero preferito tagliare definitivamente i rapporti con Jean-Luc Mélenchon.

Allo stesso tempo, i comunisti adottarono anche una risoluzione volta alla costruzione “un nuovo tipo di unione”. Solo gli ecologisti sembrano aggrapparsi ai Nupes. I deputati guidati da Cyrielle Châtelain inviano una lettera ai loro partner, nella quale li invitano “avviare per evitare il caos”. Propongono l’istituzione “un’assemblea generale di tutti i deputati di sinistra e ambientalisti” stabilire « posizioni comuni ». L’iniziativa resterà lettera morta. E il Nupes scomparirà con la stessa rapidità con cui è nato, nel frastuono delle legislative del 2022.

Da un anno, anche se la brace si è un po’ spenta, il tema resta teso. Gli oltre 40.000 morti a Gaza, la privazione di acqua, cibo ed elettricità nonché l’intensificazione dei bombardamenti hanno unito la sinistra nella denuncia degli abusi dell’esercito israeliano. Tuttavia, la campagna elettorale europea, durante la quale LFI punta tutto sul conflitto per garantire i voti dei giovani e dei quartieri operai, sta complicando l’unità. Fa scalpore la presenza al settimo posto nella lista dei ribelli della giurista franco-palestinese Rima Hassan.

Veleno prestato

Quanto a Raphaël Glucksmann, accusato dalla LFI di compiacenza nei confronti di Israele, la campagna sta diventando insopportabile. Il 1° maggio a Saint-Etienne, al grido di “ La Palestina vincerà » che è stato aggredito ed esfiltrato dalla manifestazione sindacale. Egli sottolinea la responsabilità della LFI, che la nega. A Parigi è la candidata socialista Emma Rafowicz, presidente dei Giovani Socialisti, ad accusare “ Sfera LFI » di attacchi antisemiti, in un contesto di conflazioni legate al conflitto israelo-palestinese. Per molti la sinistra è arrivata al punto di non ritorno, tanta è l’animosità sull’argomento. Ma domenica 9 giugno, sulla scia dei risultati delle elezioni europee che hanno messo in testa Jordan Bardella, Emmanuel Macron ha sciolto l’Assemblea nazionale. Di fronte al pericolo RN, le forze di sinistra scommettono sull’unità per le elezioni legislative indette immediatamente.

All’interno del Nuovo Fronte Popolare i negoziati sono lunghi. E i risentimenti, soprattutto sull’argomento, sono difficili da risolvere. Ma Place publique, il Partito socialista, i Verdi, il Partito comunista e La France insoumise hanno finito per raggiungere un accordo, anche sul piano internazionale e mediorientale. La loro agenda condivisa caratterizza le azioni di Hamas “Massacri terroristici” e richiede “rompere con il colpevole sostegno del governo francese al governo suprematista di estrema destra di Netanyahu per imporre un cessate il fuoco immediato a Gaza”. Un passo da gigante nella scala delle cappelle della sinistra, ma che risulta essere il minimo comune denominatore per preservare una fragile unità senza offendere nessuno. Solo che per alcuni l’alleanza resta impossibile.

Come il socialista Jérôme Guedj, che fa campagna elettorale nel suo collegio elettorale di Essonne in una fascia a parte. Il deputato sostiene oggi tutte le iniziative della sinistra che chiedono una rottura con Jean-Luc Mélenchon, al quale un tempo era vicino. Ma d’ora in poi giudica chi parla di “ al guinzaglio dei suoi tesserati » come essere “ irrecuperabile “. Un segnale tra gli altri che dimostra che l’accordo minimo in materia resta particolarmente fragile a sinistra. E che il file agisce come un veleno lento per l’unità.

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