Al Théâtre de Carouge, “La Crise” di Coline Serreau scaccia lo scarafaggio con un verde galvanico

Al Théâtre de Carouge, “La Crise” di Coline Serreau scaccia lo scarafaggio con un verde galvanico
Al Théâtre de Carouge, “La Crise” di Coline Serreau scaccia lo scarafaggio con un verde galvanico
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La brillantezza di La crisi, significa fare di una casa molto normalizzata l’epicentro di un’implosione generalizzata. Non ci stiamo forse sacrificando al vitello d’oro di un capitalismo tanto più devastante perché non panciuto, ma montato su mille gambe voraci? Coline Serreau affida a Vincent Lindon il ruolo di Victor, un combattente alla moda Bernard Tapie – un uomo d’affari allora ministro della Città – improvvisamente sbilanciato. Quando ci svegliamo, il letto coniugale è vuoto. Marie, sua moglie, lo ha lasciato. Così gli raccontano i loro due figli, in procinto di partire per una vacanza sulla neve. Quel che è peggio è che questo consulente legale, che si è appena distinto difendendo brillantemente gli interessi della sua azienda, viene licenziato.

Nel suo abito ambiziosamente pulito, Victor è esausto. Al bar locale, incontra un ragazzino fragile, che balbetta sui problemi della sopravvivenza, bloccato nella sua fortuna. È Michou, interpretato sullo schermo da Patrick Timsit. Victor lo ignora, questo sempliciotto è la sua occasione. È a questo punto di svolta che torniamo al Théâtre de Carouge, per incontrare Simon Romang, sopraffatto, sgualcito, scardinato, ma con quale forza e talento, nei panni di Victor. Si sfoga davanti a Michou alias il fenomenale Romain Daroles, antidolorifico stranamente solare, come se nel profondo della sua notte si profilassero i contorni di un’eruzione e, chissà, di una rivoluzione.

La vena di un racconto filosofico

La bellezza del gesto quindi di Jean Liermier, dello scenografo Rudy Sabounghi e della loro banda, è quella di non cercare mai di scimmiottare il film, ma di offrirgli un impulso teatrale, vale a dire qui una fluidità, un’allegria mai demagogica, una nitidezza di linea e, per dirla senza mezzi termini, poesia feroce. Alle inquadrature spesso serrate di Coline Serreau fanno da contraltare i disegni di Louis Lavedan, tanti miraggi della città, come tavole di un racconto filosofico scritto dal vero. La passione per la recitazione della regista – che, prima delle riprese, ha provato per cinque settimane con i suoi interpreti – riecheggia qui la gioia della composizione.

Incontro: Vincent Lindon: “Svanire dietro un personaggio è il sogno”

Auto La crisi – adattato da Samuel Tasinaje e sua madre, Coline Serreau – è davvero disponibile solo per coloro che sanno comporre. Vedi François Nadin, impagabile in quanto deputato socialista che tiene lezione nella sua villa, così come un declassato suburbano che festeggia con champagne l’ottenimento del RMI – reddito minimo per l’integrazione – con i suoi amici arabi, mentre si definisce razzista. Vedi anche Camille Figuereo nei panni di Isa – nel film, Zabou Breitman – la sorella di Victor: è una spada quando arriva il momento di mettere al suo posto un fidanzato problematico che si presenta nel cuore della notte.

Quello superbo di Brigitte Rosset

Victor scende di corsa le scale del suo conforto piccolo-borghese. Nel mezzo di questa caduta liberatoria ritrova i suoi genitori, una coppia modello se mai ce n’è stata una. Un esempio? Tu parli. La scena è da antologia. Il padre – sempre François Nadin – è di marmo come una quercia colpita. La madre sfila come il narciso. Ha deciso di vivere la sua vita. Questione di culo e di cuore, ma sì, piccoli miei. Da Coline Serreau, è Maria Pacôme a godersi ogni parola di questa rivoluzione. In Carouge, è Brigitte Rosset, superba e implacabile come una regina madre, che annuncia di andare a letto con il suo valletto. Viva la crisi, viva il sesso!

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La crisi è la favola femminista delle nostre rivolte. La madre si gode una primavera inaspettata tra le braccia del suo insegnante di yoga, Monsieur Borin (Baptiste Gilliéron, che eccelle anche nella trasformazione). Madame Borin (Charlotte Filou) finisce per consolare il padre. Djamila (Dominique Gubser), la donna morente, sussurra a Victor, prima di morire, il segreto per ricambiare l’amore. Per Coline Serreau, la tenerezza è il nettare della satira. Il lieto fine è la sua gentilezza e nobiltà. Un modo per evitare il peggio. Il teatro serve anche ad allietare le giornate.


La crisi, Teatro Carouge, fino al 22 dicembre; Teatro Kléber-Méleau, Renens, dal 9 al 19 gennaio 2025.

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