Il ratto africano gigante, un olfatto che salva vite umane e presto biodiversità

Il ratto africano gigante, un olfatto che salva vite umane e presto biodiversità
Il ratto africano gigante, un olfatto che salva vite umane e presto biodiversità
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Pubblicato il 12 novembre 2024 alle 21:37 / Modificato il 12 novembre 2024 alle 21:37

• I ratti giganti africani hanno un senso dell’olfatto eccezionale, capace di individuare mine ed esplosivi sepolti.

• Una ONG belga ne ha fatto una specialità e sta esplorando nuove applicazioni, come lo screening per la tubercolosi o la ricerca di persone sepolte sotto le macerie.

• Questa volta si dimostra che questi roditori percepiscono l’odore di campioni di animali o piante oggetto di traffico.

I ratti della famiglia Cricetomia avere un grande talento e una solida memoria. Tanto che possono rilevare e segnalare tutti i tipi di odori, a condizione che siano stati addestrati. Alla fine degli anni ’90, un’organizzazione non governativa belga, Apopo (acronimo olandese per Sviluppo di prodotti per rilevare mine antiuomo) si è impegnata, in Tanzania, ad addestrare dei ratti a rilevare tracce di esplosivo nell’aria. Questi animali hanno un vantaggio reale rispetto agli esseri umani: il loro peso “piuma” (meno di 2 kg) non è sufficiente per innescare l’esplosione delle mine antiuomo nascoste nel sottosuolo quando li calpestano. Dopo un’esplorazione con i cani per individuare le zone sospette, i ratti intervengono per individuare sistematicamente le mine. Hanno così permesso di pulire vaste aree, in particolare in Mozambico, Zimbabwe, Angola, Colombia, Azerbaigian e Cambogia.

Allo stesso tempo, nel 2008, Apopo ha dimostrato che i suoi ratti potevano rilevare la tubercolosi nel muco espettorato dai pazienti, uno strumento ora utilizzato in Tanzania, Mozambico ed Etiopia. “Li usiamo in aggiunta alle analisi tradizionali”, spiega Isabelle Szott, che addestra e studia questi ratti all’Apopo. Ciò rende possibile individuare i pazienti le cui colture cellulari non sono state in grado di rilevare la malattia”. Decine di migliaia di persone hanno così potuto essere curate, impedendo loro di trasmettere a loro volta la tubercolosi.

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