ARTE – VENERDI 17 GENNAIO ORE 22:30 – DOCUMENTARIO
In un momento in cui i Cure vengono acclamati per il loro grande ritorno Canti di un mondo perdutoquattordicesimo rinvigorente album uscito all’inizio di novembre 2024, dopo oltre quindici anni di silenzio discografico, Arte dedica un documentario a uno dei capisaldi della formazione rock gotica, l’ambizioso Disintegrazionepubblicato nel 1989. Molti critici musicali non hanno mancato di stabilire un parallelo tra questi due dischi singolarmente oscuri.
Ha venduto più di 4 milioni di copie in tutto il mondo, Disintegrazione incarna l’apice commerciale dei Cure. Paradossalmente, quest’ottava opera doveva essere un lavoro complesso e denso, prendendo la direzione opposta rispetto ai singoli pop-orientati del gruppo che lo resero popolare, come I gatti dell’amore (1983), Tra i giorni (1985) o Proprio come il paradiso (1987). Ciò, tuttavia, significherebbe omettere che gli inglesi avevano precedentemente firmato la trilogia Diciassette secondi (1980), Fede (1981) et Pornografia (1982), senza concessioni artistiche, oscure e minimaliste, che ne affinano l’identità.
Fine di un ciclo
Nel 1989, Robert Smith, allora trentenne, prese in considerazione Disintegrazione (“dissoluzione”, “disintegrazione”, in francese) come la fine di un ciclo, forse addirittura dei Cure. L’atmosfera all’interno del gruppo si disintegra e segna l’estromissione del batterista e co-fondatore, Lol Tolhurst. Il cantante e icona dagli arruffati capelli corvini, sull’orlo della depressione, scava nel profondo della sua psiche per scolpire emotivamente il suo diamante nero.
Da questa materia oscura emergono però alcuni lampi di luce, come quelli romantici Canzone d’amoreil superbo strumentale Canto semplice o il grandioso Ninna nannaispirato da un incubo di Smith, dove si trasforma in un ragno.
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Anche il documentario di Tim Evers, narrato dalla giornalista Michka Assayas, racconta l’impatto dell’album sulla sua uscita sui giovani della Germania dell’Est, sei mesi prima della caduta del muro di Berlino. La storia è supportata da archivi girati nella DDR e testimonianze di fan dell’epoca. L’idea in sé non è male, ma non c’è abbastanza tempo per una durata di cinquantadue minuti. Soprattutto perché, allo stesso tempo, la narrazione si sofferma troppo sugli esordi del gruppo, quindi sul suo orientamento artistico.
Da qui questa persistente impressione di sfiorare l’aspetto principale – della durata totale del documentario, su cui si concentra solo un terzo Disintegrazione. Avremmo preferito saperne di più sulle sessioni di registrazione distribuite nell’arco di sei mesi in una villa della campagna inglese, sotto l’ala protettrice del produttore David M. Allen, i cui commenti sono stati raccolti qui.
Le interviste raccolte su Robert Smith sono poche (l’uomo è, è vero, noto per essere poco loquace), ma fanno da contraltare agli interventi dell’ex manager Chris Parry e del giornalista musicale e autore britannico Simon Price, ricco negli aneddoti.
Al documentario segue la trasmissione, alle 23:20, del concerto per il 40esimo anniversario dei Cure tenutosi ad Hyde Park, Londra, dove il gruppo esegue sei brani tratti da Disintegrazione.
Disintegrazione. Un album, un gruppo, una generazionedi Tim Evers (Germania, 2024, 53 min). Su Arte.tv fino al 19 marzo.
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