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I nostri 50 album preferiti degli anni ’70: 1. The Move – Shazam (1970)

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Non necessariamente i dischi “migliori” degli anni ’70, ma quelli che ci hanno accompagnato, che abbiamo amato: cominciamo da lì Shazamda The Move, un disco magico, quasi alienato…

La storia di La mossa si sta muovendo in più di un modo, se infatti ricontestualizziamo un decennio in cui la sostenibilità dei luoghi sotterranei dipendeva dall’esistenza di canali diversi dalla stampa e dalle radio nazionali. È attraverso le onde radio che RadioCarolina nel Regno Unito, Campo Radiofonico in Francia, trasmettono musica dissidente. Londra è la capitale della musica, emblematica delle sue sale da concerto, anche se alcune non sono sopravvissute (L’UFO che vide la nascita Pink Floyd chiuso nel 1967).

Dopo un primo album disseminato di singoli che divennero popolari La mossail gruppo, guidato dal carismatico Roy Woodprende una nuova svolta, in linea con il movimento musicale progressivo dove la durata di un titolo si estende oltre quella di un singolo. Seguendo la lunghezza delle sue composizioni, l’album accatasta le chitarre fino a diventare sporco, la batteria si rompe Bev Bevan cadere come un mucchio di incudini. Sul palco, La mossa si divertivano a spaccare i televisori, e si dice addirittura che il gruppo suonasse così forte che il pubblico cercasse un angolino per proteggersi dai riff e dai feedback che uscivano dagli amplificatori.

Ma qual è il motivo per scegliere un disco del genere per aprire il brillante decennio musicale che saranno gli anni ’70? È quello Shazam non è solo la sua magica interiezione, è una cesura temporale, che trasporta l’ascoltatore in un’altra dimensione. Dalla base pop e psichedelica del precedente album omonimo, il gruppo si offre una nuova identità musicale, il divario si è ampliato. A differenza dei gruppi progressisti, non c’è una sola tastiera o organo aggiunto come ornamento.

Ciao Suzie dà l’illusione di una composizione molto classica, ma conserva questo lato così britannico nella formulazione delle parole. A parte il fatto che il tono si è inasprito, all’improvviso c’è questa stranezza che trasuda in sottofondo Clinica Cherry Blossom rivisitatadall’introduzione, siamo intrappolati in una cella imbottita, al riparo dal mondo, la chiave per fuggire è stata gettata nell’abisso. La canzone di Carlo Waynesupportato dalla voce di Roy Wood prende la forma di artigli in cui l’anima sembra ridotta a nulla.

Prendendo in prestito dalla musica classica con passaggi da Bach et Čajkovskijla schizofrenia decuplica fino al momento della grazia cioè Campi di persone, 11 minuti in cui vengono registrate conversazioni con persone anonime come introduzione, fino ad un finale forse troppo esagerato dall’onnipresenza di un sitar. La prima parte del brano è il climax dell’album, tutte le personificazioni confluiscono in un’unica massa, un labirinto per l’anima che naviga su una distesa immensa dove finisce per disintegrarsi (il Raga del sitar qui n non si salva , al contrario, è da incubo). La composizione è attribuita a Wyatt Giorno et Jon Pierson del gruppo americano Ars Nova.

Poi arriva la ripresa Non rendere il mio bambino blucon violenza accresciuta, prima che il disco si concluda in modo molto logico L’ultima cosa nella mia mente (Di Tom Paxton) le cui parti di chitarra vanno completamente fuori controllo. Siamo proprio nel triangolo Power Trio e Art Rock. Stranamente il trio presenta le proprie composizioni solo sul lato A. Lo scisma con Carlo Wayne è così Roy Wood cresce barba e capelli, come i membri di Sabato Nero o da John Lenon.

L’unico ostacolo importante è La mossa beneficia di pochissimo riconoscimento nel continente americano, e Shazam è l’ultimo di una formazione originale, prima Jeff Lynne si unisce al gruppo. Gradualmente, La mossa si sposterà verso la musica proto-Glam. La storia deciderà diversamente, con la lenta formazione del futuro Orchestra di luci elettriche.

Franck Irle

La mossa – Shazam
Etichetta: Regal Zonophone
Data di pubblicazione: 27 febbraio 1970

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