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The Cure Lost World 2/8: Fragile più contenuti…

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A meno che non si viva in una grotta, è difficile perdersi l’ormai imminente uscita (1° novembre) del nuovo album dei La cura, Canzoni di un mondo perduto. Noi stessi abbiamo già scritto molto (troppo) sull’argomento, con l’impressione che questo prossimo disco non solo concentri molte aspettative personali (emozione, nostalgia, invecchiamento, morte e anche amore) probabilmente universali, ma anche “ questioni storiche” per il genere che può essere descritto come “guitar rock”. Se Canzoni di un mondo perduto deve essere uno dei più grandi dischi del mondo, popolare e in qualche modo intimo/indipendente (che lo distingue dagli altri Musa, U2ecc.), trascorrervi del tempo non è superfluo. Se dovesse essere solo l’album di fine vita di un gruppo favoloso che si è lasciato alle spalle il passato per 25 anni, probabilmente potremmo ascoltarlo in modo più distratto.

Se la prima canzone ufficiale Solo ci è sembrato superare, con il suo tono, la profondità delle parole e la sua ampiezza (alcuni direbbero la sua lunghezza, la sua lentezza) l’importanza di una canzone semplice, il secondo pezzo tratto dal disco, Una cosa fragileci riporta a emozioni meno vivide, a referenti musicali più elementari. La canzone era già nota per essere stata eseguita sul palco del tour. La versione in studio si conferma un titolo bello, elegante, caratterizzato dalla prevalenza della tastiera sulle chitarre (cosa non così comune tra i La cura) ma che non suona così diverso da quello che i Cure offrivano ad esempio all’epoca Desiderio. Vi troviamo ovviamente il lessico del gruppo (“baciare” “piangere” “lei ha detto” “freddo” e così via) fatto di parole combinate e di situazioni abbastanza archetipiche di un ragazzo che parla con una ragazza che gli sfugge o che lui ritrova, ma anche un’allure pop che si dipana senza brillantezza e senza troppa fantasia su un brano lineare e abbastanza lungo. Ritroviamo il senso delle transizioni strumentali già osservate Desideriouna forma di pesantezza nell’espressione del dolore, della paura, del tempo che lavora a favore del pezzo, così come un suono di batteria catturato “naturalmente” che dà corpo e materialità ad un suono molto adolescenziale e astratto.

Il risultato è gradevole ma non presenta alcuna sorpresa o gancio decisivo, pur mancando della potenza contemplativa e crepuscolare del predecessore. Il titolo è stato presentato dal gruppo come il più pop del disco, un pezzo che parla d’amore in modo un po’ disincantato. Il finale alla tastiera è assolutamente bellissimo e rappresenta tuttavia una vera evoluzione nella costruzione di brani che raramente finiscono in questo modo ai Cure. Quindi stiamo facendo qualcosa di nuovo senza radicalismo e rimanendo molto vicini ai soliti marcatori del gruppo. Questo significa che siamo delusi? Forse un po’.

Con questo singolo i Cure hanno rivelato la tracklist definitiva del disco che, come temuto/previsto, conterrà solo 8 tracce. Ciò significa che ne restano solo tre da scoprire: Cantaguerra, Drone: Nessun drone et Tutto quello che sono mai statoaccanto ai cinque già eseguiti sul palco. Tre brani davvero nuovi e altri tre di cui scopriremo solo la versione definitiva: questo fa poco e molto per cambiare la storia di questo eccezionale gruppo. La sequenza Da solo e niente è per sempre in apertura dovrebbe lasciarci in ginocchio e in lacrime. Una cosa fragile (nella traccia 3) saranno graditi per alleggerire l’atmosfera davanti al cuore del disco, ancora tutto da scoprire. Tutto quello che sono mai statouna canzone ancora sconosciuta, sarà incorniciata dal magnifico Canto finale et Non posso mai dire addio entrambi infinitamente tristi, belli e commoventi. Non vediamo l’ora.

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