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Fine del transito russo-ucraino il 31 dicembre: buona risoluzione o sbornia in prospettiva?

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Introduzione

Quello che viene chiamato “accordo di transito russo-ucraino” è in realtà una serie di accordi firmati nel dicembre 2019:

  • un protocollo trilaterale tra Commissione Europea, Ucraina e Russia che prevede almeno 225 miliardi di metri cubi1 di gas russo sarebbe transitato o pagato nel periodo 2020-2024: 65 miliardi nel 2020 e 40 miliardi all’anno successivamente;
  • un accordo di trasporto tra Gazprom e Naftogaz (l'operatore ucraino del gas), in base al quale la società ucraina si impegna a trasportare il gas della società russa attraverso l'Ucraina;
  • un accordo di trasporto tra Naftogaz e GTSOU (l'operatore di rete ucraino), in base al quale la prima riserva capacità sulla rete ucraina, per il trasporto di gas russo;
  • un accordo di interconnessione tra gli operatori di rete GTSOU e Gazprom, che copre gli aspetti tecnici della trasmissione.

Questo insieme di accordi scadrà il 31 dicembre 2024. Sebbene si preveda una possibilità di proroga, tutto fa pensare (in questa fase) che così non sarà, visto lo stato dei rapporti tra le autorità ucraine ed europee da un lato, e quelle russe dall'altro.

La fine di questo accordo, che costituiva la base politica, giuridica, commerciale e tecnica del transito, presenta una serie di sfide. Infatti, per quanto controintuitivo, l’Ucraina è uno degli ultimi corridoi ancora attivi (insieme alla Turchia) per rifornire l’Europa di gas russo, nonostante il conflitto. La Commissione stima quindi che l’Unione abbia ricevuto attraverso questa via altri 14,65 miliardi di metri cubi di gas russo nel 2023 (e a priori le cifre per il 2024 dovrebbero essere simili).2. Si stima che gli Stati membri ancora colpiti siano: Austria, Ungheria, Italia, Slovacchia, Slovenia e Repubblica ceca (e in misura minore Bulgaria e Romania). Le più colpite sarebbero Austria e Slovacchia che dipendono ancora rispettivamente per il 70% e il 60% dal gas russo che transita attraverso questo corridoio.

Fonte: Bruegel3

Dov’è l’UE?

Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, l’Unione ha compiuto notevoli sforzi per rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento. Pertanto, le capacità annuali di importazione di gas naturale liquefatto (GNL)4 aumentato di oltre 50 miliardi di metri cubi all’anno rispetto all’anteguerra5. La domanda di gas si è contratta notevolmente: nel 2023 è stata pari a 330 miliardi di metri cubi (ovvero -20% rispetto ai livelli osservati nel 20216) e potrebbe diminuire ulteriormente nel 2024. La quota della Russia nelle nostre importazioni di gas è diminuita meccanicamente ed è ora compresa tra il 15 e il 20% (rispetto al 45% prima della guerra).

L’Associazione europea degli operatori di sistema del gas (ENTSOG) ritiene che il sistema del gas europeo sia sufficientemente preparato per affrontare questa transizione. Il loro rapporto sulle previsioni per l’inverno 2024/2025 evidenzia che l’Europa ha la capacità necessaria per assorbire potenziali shock di approvvigionamento grazie al rafforzamento delle infrastrutture e agli elevati livelli di stoccaggio (gli stoccaggi di gas europei erano pieni al 75% della loro capacità).7.

In questo contesto, la fine del transito ucraino può essere vista addirittura come un’opportunità, in linea con la strategia REPowerEU adottata dalla Commissione nel 2022, e volta a eliminare gradualmente le importazioni di gas russo entro il 2027.

La Commissione europea ha mantenuto una posizione dura negli ultimi mesi, affermando che l’UE è pronta a vivere senza il transito del gas russo in Ucraina. L’ex commissario per l’Energia, Kadri Simson, ha sottolineato ad esempio lo scorso marzo che l’Europa ha “soluzioni diversificate per sostituire integralmente i 14 miliardi di metri cubi di gas russo8. A tal fine, durante lo scorso anno ha coordinato un gruppo di lavoro con gli Stati membri interessati, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sul sito web della Commissione.9. Ritiene che le infrastrutture europee del gas siano sufficientemente sviluppate per consentire agli Stati colpiti dalla fine del transito di avere accesso a fonti alternative (in particolare il GNL). In particolare, individua quattro “gazoroutes”: passando per Germania, Polonia, Italia e Balcani.

Inoltre, gli Stati membri come Slovacchia e Austria, i più colpiti dalla fine del transito, hanno lavorato attivamente per garantire fonti di approvvigionamento alternative.

Slovacchia e Ungheria (di cui è nota la vicinanza a Mosca) stanno ancora lavorando, anche pubblicamente, per trovare soluzioni per mantenere il transito10. L’operatore slovacco SPP sottolinea in particolare che la fine del transito ucraino potrebbe costargli 150 milioni di euro a causa dei nuovi costi di transito che dovrebbe sostenere (i corridoi alternativi implicano che il gas attraversi distanze più lunghe e più frontiere11).

L'Austria, dal canto suo, si dimostra più discreta, nonostante il contratto a lungo termine tra il suo operatore nazionale OMV e Gazprom, che sarebbe dovuto durare fino al 2040. Ciò ha diverse ragioni. Innanzitutto, l’Austria ha capacità di stoccaggio molto grandi (più di Spagna e Polonia messe insieme) che la rendono meno vulnerabile. Inoltre, la Russia non fornisce più gas all’Austria in base a questo contratto dal 16 novembre, dopo che OMV ha vinto una causa legale contro Gazprom.12. Ciò tuttavia non ha influito sui flussi sul corridoio ucraino che sono rimasti invariati, avendo finalmente il gas trovato altri acquirenti sul mercato macchiare13. L'OMV ha addirittura risolto definitivamente il contratto il 12 dicembre.

Da parte sua, l’Ucraina rifiuta di avviare negoziati per estendere il contratto di transito con Gazprom finché continua il conflitto armato con la Russia, ma rimane aperta all’idea di transitare gas non russo se ciò sarà richiesto dagli acquirenti europei14. Va comunque notato che la fine del transito significa una significativa perdita di entrate per l’Ucraina, stimata in 800 milioni di euro solo per il 2023.15.

La Russia, da parte sua, ha più volte espresso il desiderio di continuare a rifornire i suoi clienti europei attraverso l'Ucraina se verrà creato un quadro giuridico.16. Va detto che fermare il transito potrebbe significare una perdita di circa 6,5 ​​miliardi di dollari all’anno per Gazprom, secondo le stime del think tank Bruegel.17e questo mentre la società ha già registrato perdite record per l'anno 2023 con un deficit netto di 7 miliardi di dollari18. Si tratta però certamente di una stima sovrastimata, poiché una parte del gas in questione potrebbe molto probabilmente essere reindirizzata verso altri gasdotti (Turkstream per esempio) o essere rivenduta come GNL.

Alcune domande restano aperte

La domanda più grande in questa fase è: cosa succederà da qui al 1° gennaio? Sebbene la finestra di opportunità sia molto ristretta, l’attività delle autorità slovacche e ungheresi nelle ultime settimane suggerisce che la situazione potrebbe ancora evolvere. Esistono in realtà delle soluzioni, già individuate, che permetterebbero di mantenere il transito. Una delle possibilità menzionate da alcuni esperti sarebbe che le aziende europee negoziassero direttamente con Gazprom per l'acquisto di gas al confine russo-ucraino e poi firmerebbero un accordo di transito con l'operatore ucraino Naftogaz. Un’altra possibilità sarebbe “soluzione azzurra”: SOCAR, la compagnia azera del gas, potrebbe firmare un accordo”scambio” con Gazprom, in modo che il gas al confine russo-ucraino diventi contrattualmente Azero (e in cambio un gas fisicamente Lo diventerebbero gli azeri, in direzione ad esempio della Turchia contrattualmente Russo)19. Insomma, l’obiettivo di queste due manovre sarebbe quello di sostituire Gazprom con un altro attore, azero o europeo, per rendere il rapporto contrattuale accettabile per gli ucraini. Tuttavia, queste soluzioni sembrano piuttosto contorte. Lo scenario più probabile oggi resta la pura e semplice cessazione dei trasporti.

Se questo scenario si realizzasse, resta da chiedersi cosa accadrebbe ai contratti a lungo termine tra Gazprom e le società europee (la slovacca SPP, l’austriaca OMV, l’ungherese MVM e l’italiana Eni). Se Gazprom non fosse più fisicamente in grado di trasportare il suo gas attraverso l’Ucraina, potrebbe dichiarare una situazione di crisi forza maggiore chiedere la sospensione dei propri contratti. Se mai le aziende europee dovessero sfidare la situazione di forza maggioreciò porterebbe a una nuova ondata di procedure arbitrali, simili a quanto accaduto in seguito al sabotaggio del Nord Stream. L’esito di tali procedimenti è in gran parte incerto.

C’è anche la questione dell’impatto sui prezzi. Come sempre, risulta molto difficile fare proiezioni sull'andamento dei prezzi, soprattutto quando si tratta di un mercato strategico come quello del gas. È interessante notare, tuttavia, che la Commissione europea ritiene che i mercati abbiano di fatto già internalizzato il costo della fine del transito e che gli impatti siano “minimi20. I prezzi oggi si attestano poco sopra i 40 €/MWh, in aumento rispetto alla media di quest'anno, ma lontani dai livelli conosciuti al culmine della crisi (330 €/MWh)21. Una delle preoccupazioni emerse negli ultimi giorni riguarda proprio i prezzi per l’estate 2025, che sono ormai più alti rispetto a quelli dell’inverno 202522 : questa situazione è del tutto insolita, e riflette il fatto che i mercati si aspettano che l'Europa utilizzerà molto (più che negli ultimi anni) i suoi stoccaggi di gas quest'inverno, e avrà bisogno di molti volumi in primavera per ripristinarli ai livelli stabilito dalla legge. Questa situazione è preoccupante perché se i prezzi sono più alti in estate che in inverno, per gli operatori economici scompare l’incentivo economico a riempire lo stoccaggio (perderebbero denaro). Una situazione che resta quindi da monitorare, e che potrebbe richiedere interventi statali in primavera.

Permangono inoltre serie preoccupazioni circa la situazione in Moldavia. Infatti, sebbene la Moldavia occidentale non importi gas russo, la Transnistria dipende interamente dalle importazioni di gas russo attraverso l’Ucraina. Tuttavia è proprio in Transnistria che si trova la centrale termoelettrica a gas di Kuchurgan, che fornisce circa tre quarti del consumo elettrico della Moldavia occidentale. Il paese inoltre non dispone di alcun deposito di gas. Per questo motivo il 13 dicembre il Parlamento moldavo ha dichiarato lo stato di emergenza energetica, per una durata di 60 giorni.

Infine, se ci poniamo ancora nello scenario di sospensione del transito il 1° gennaio, è lecito chiedersi se la rete del gas ucraina non sarà ulteriormente presa di mira dalle forze militari russe. Rispetto alla rete elettrica, infatti, finora è stata relativamente risparmiata: era per preservare il gas consegnato agli europei?

Conclusione

Insomma, nonostante le sfide poste dalla fine del transito ucraino, l’UE sembra pronta a raccogliere questa sfida. Grazie agli sforzi degli ultimi anni e al lavoro di preparazione, l’Europa è attrezzata per affrontare questo evento. La fine del transito ucraino può quindi essere vista non come una minaccia ma come un passo cruciale verso l’indipendenza energetica sostenibile e una maggiore resilienza di fronte alle fluttuazioni geopolitiche.

Il nuovo commissario per l'Energia, Dan Jørgensen, si è impegnato a presentare una tabella di marcia per fermare tutte le importazioni di combustibili fossili russi entro il 2027. Si stima che, a novembre 2024, l'Unione fosse ancora il quarto maggiore acquirente mondiale di combustibili fossili russi con una fattura solo per questo mese di circa 1,8 miliardi di euro23. Si noti inoltre che a novembre la Francia era il secondo Stato dell’Unione con il maggiore acquisto di combustibili fossili russi (esclusivamente GNL nel caso francese), dietro alla Slovacchia e davanti all’Ungheria. In questa prospettiva, la fine del transito ucraino appare solo come il primo ostacolo di 110 metri ancora da percorrere.

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