L’ospite –
Nuovi segnali di indebolimento del regime
L’articolo di Hamid Enayat sullo stato dell’Iran.
Hamid Enayat, politologo iraniano
Pubblicato oggi alle 00:11
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Le rivolte del 2019 e del 2022 hanno scosso profondamente il regime iraniano. Quest’ultimo è riuscito a controllare le manifestazioni solo ricorrendo alla repressione brutale, al fuoco diretto sui manifestanti e alla violenza estrema. Questi eventi hanno ulteriormente ampliato il divario tra leader e società, costando al regime la sua legittimità. Da allora, il regime ha vissuto nel costante timore di un’altra rivolta capace di rovesciarlo.
Per distogliere l’attenzione, Ali Khamenei ha cercato di creare una crisi regionale, in particolare con il conflitto nella Striscia di Gaza. Tuttavia, questa politica ebbe conseguenze negative per i suoi alleati regionali e indebolì ulteriormente il regime.
L’indebolimento dell’Iran è evidente nella diminuzione dell’influenza delle sue forze per procura. In Libano, Hezbollah, il braccio armato e politico dell’Iran, ha visto diminuire il proprio potere, come dimostra l’elezione di un presidente dopo anni di impasse politica.
Il Libano, un tempo simbolo di coesistenza, è ora segnato dal collasso economico causato dalle politiche di Hezbollah e Iran. A Gaza, il cessate il fuoco riflette la perdita di influenza dell’Iran sui suoi alleati. Se questa tendenza continua, potrebbe aprire la strada all’unificazione di Ramallah e Gaza, e persino alla coesistenza tra Palestina e Israele.
Per anni l’Iran, attraverso il suo sostegno al terrorismo, ha bloccato l’attuazione degli accordi di Oslo.
Il colpo più duro per il regime è stata la caduta di Bashar al-Assad, pilastro dell’influenza iraniana in Siria. La sua caduta ha segnato la fine degli investimenti strategici dell’Iran, distruggendo una delle principali leve della pressione internazionale.
Anche all’interno sono visibili i segni del crollo del regime. Le proteste hanno raggiunto le carceri, dove i detenuti di Evin hanno cantato “Morte al dittatore”. Per un anno, i prigionieri hanno organizzato uno sciopero della fame settimanale contro la pena di morte, dimostrando la loro determinazione nonostante le condizioni estreme. Il 18 gennaio, due influenti “giudici”, Ali Razini e Mohammad Moghiseh, sono stati uccisi da un impiegato del Ministero della Giustizia. Razini, noto per aver condannato a morte migliaia di dissidenti che gestivano una rete di corruzione. Questo assassinio riflette la rabbia popolare o, come sostiene il regime, un’azione degli oppositori. In entrambi i casi, simboleggia un cambiamento nell’equilibrio tra il regime e il popolo.
Il regime si trova di fronte a un collasso morale. Hossein Salami, capo delle Guardie rivoluzionarie, ha affermato che “per sconfiggere un regime, bisogna prima provocarne il collasso psicologico”. Questa fase sembra già compiuta, suggerendo la fine di un regime incapace di mantenersi di fronte a un popolo in cerca di cambiamento.
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