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Da Gaza all’Ucraina, in attesa del tifone Trump

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Un “regalo di benvenuto” offerto dagli israeliani a Donald Trump? È soprattutto la prova feroce dell’incapacità (o della cecità) mostrata dal suo predecessore Joe Biden quando si è trattato di abbreviare l’agonia palestinese, rifiutandosi di esercitare la minima reale pressione su Israele. Quali sono gli impegni – taciti o formali – dati da Donald Trump al governo israeliano per convincerlo a sospendere il disastro di Gaza? Quanto durerà il cessate il fuoco e quali misure verranno seguite a favore di Israele, in particolare nei confronti dei coloni israeliani? Queste domande da sole minano l’idea di un magico ritorno alla pace in una frangia palestinese trasformata in un campo di rovine.

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Pace, a quale prezzo?

In Ucraina, data la comunanza di menti, e talvolta di interessi, di Donald Trump e Vladimir Putin, le domande sono ancora più salienti. Pace, ma a prezzo di quali concessioni? Da mesi, ormai, la questione tormenta senza dubbio le notti dei funzionari ucraini, ridotti, dalla violenza degli attacchi russi e dallo sconforto della loro stessa popolazione, a sperare nel risultato meno peggiore.

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Al di là di questi due conflitti che, nella migliore delle ipotesi, si risolveranno solo in tempi brevi, è come se tutti stessero cercando di mettere ordine in casa prima che il tifone Trump e la sua dose di conseguenze imprevedibili irrompessero dalla finestra. Ecco il Libano, dopo due anni, con un presidente e un primo ministro nuovi di zecca, pronti a funzionare. Sono questi gli europei che, nonostante le loro profonde divisioni, riportano l’idea di difendere insieme non solo il territorio europeo, ma anche il principio stesso della democrazia. Ecco addirittura la Corea del Sud che finisce per mettere le mani sul suo presidente criminale, come per poter meglio lavare i panni sporchi in famiglia.

Altrove ci prepariamo in altri modi. Nel Caucaso, tra Azerbaigian e Armenia, il tempo si è fermato in attesa dell’arrivo americano. Il vicino Iran sta cercando di raggiungere possibili accordi con gli europei, in particolare attraverso discussioni a Ginevra. Per tutti, la stessa incognita: quale spazio di manovra concederà Trump II a questi territori estranei all’America, di cui gli importa ben poco.

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