DayFR Italian

“Dbibina”: L’idiota inutile nemmeno agli avversari del Marocco, e figlio indegno

-

“Dbibina” pensava di essere più intelligente, Aboubakr Jamaï, e soprattutto più informato. E “Dbibina” nota che quest’uomo nessuno vuole più interrogarlo o, più precisamente, sfruttarlo. Jamaï va allora a raschiare il fondo del cassetto, dove trova uno dei pochi che vuole ancora sentire le sue “verità”, Francisco Carrión del sito L’Indipendente. È comunque curioso che questo rampollo di una così illustre famiglia di patrioti e nazionalisti accetti di parlare e di riversare tutto il suo odio e tutto il suo risentimento nei confronti del suo paese ad un giornalista noto per la sua non professionalità e la sua faziosità.

Jamaï è considerato il preside della Donna Dillon Manning School of Global Affairs presso l’American College of the Mediterranean. Titolo pomposo, nome lunghissimo, che racchiude tutto, senza nulla di preciso, e dove il nostro eroe è il decano. Ok, viene presentato anche come colui che ha dovuto chiudere il suo giornale nel 2010, spiegandolo “Oggi in Marocco il giornalismo serio è diventato impossibile”ma dimenticandosi di dire che il giornalismo serio è anche quello che paga i propri dipendenti e i loro contributi previdenziali; infatti, è stato a seguito di una denuncia del CNSS che il suo giornale è stato chiuso, ma questo non lo dice, Jamaï, e Carrion non cerca nemmeno di scavare troppo a fondo. La cosa più importante è che il giornale ha chiuso ed è stato lo Stato a chiuderlo!

Il resto è lo stesso. Domande idiote, rimanendo sulla logica degli anni ’70 del secolo scorso, vale a dire lo spericolato giornalista spagnolo che pone domande a cui nessuno ha mai pensato, del tipo “come si osserva il Marocco dal momento che è straniero?” o anche ” qual è il risultato del governo?”; e naturalmente le risposte degli eroi, Jamaï nel ruolo del vecchio saggio, dell’osservatore informato a cui nessuno fa questo, di colui che sa e che non dice nulla. Infatti, “Dbibina” pensa che Jamaï sia pieno di risentimento contro il Marocco, il suo re e perfino i suoi amici. Come altri, la notorietà gli ha dato alla testa, forse si è visto promesso un grande futuro ma quando il suo progetto è fallito, si è infuriato, incolpando il governo. E ci sono ancora giornalisti arrabbiati e pieni di odio come Carrion che ci credono.

Leggendo la risposta di Jamaï alla domanda su cosa pensa del piano di autonomia del Marocco, “Dbibina” si è sentito molto dispiaciuto per Khalid Jamaï, il padre di Aboubakr, e per Boubker, suo nonno, nazionalista fin dalla prima ora. Infatti, la prole (come rifiuto) svolge un argomento come se gli fosse stato suggerito dagli algerini; leggendolo, abbiamo la sensazione di leggere un dispaccio dell’agenzia Algérie Presse Service. Per ascoltarlo, il Polisario agisce per proprio conto e lavora con intelligenza per il bene del “popolo saharawi”. È triste ed è angosciante, si rammarica “Dbibina”, ma allo stesso tempo è normale perché il suo intervistatore è lo stesso che difende sempre il Polisario, solo perché non gli piace il Marocco. Altrove, in un Paese diverso dal Marocco, il comportamento di Jamaï sarebbe stato definito alto tradimento e i marocchini avrebbero cercato di giudicarlo. Ma no, in Marocco c’è una tale unanimità sulla questione del Sahara che preferiamo opporci all’indifferenza e al disprezzo per questo rinnegato proveniente da una così grande famiglia di nazionalisti. E sì, dice “Dbibina”, a volte i cani partoriscono gatti!

Questo Jamaï, rimarca ancora “Dbibina”, che dice che in Marocco non esiste libertà di espressione e che esiste solo repressione, ciononostante dice nella sua intervista che verrà in Marocco, che incontra i giovani, che parla loro . E nessuno gli crea problemi. Allora, libertà o no, signor Jamaï? Ma ehi, “Dbibina” conosce la malafede dei suoi coetanei.

Imbottito dal complesso colonizzato, per lui, Aboubakr Jamaï, funziona solo la democrazia di tipo occidentale e contano solo le banconote di Freedom House. Si ostina a giudicare il suo paese attraverso queste misure che da tempo non funzionano, e crede che qualcuno gli crederà! Allora, per essere sicuro che venga letto, dice nel dramma: ”sì, ci saranno altre rivolte”, perché la prima, secondo lui, nel Rif, è stata repressa dalle autorità. “Dbibina” impara quindi qualcos’altro su quest’uomo amareggiato: semplicemente mente. Infatti “Dbibina” sa che non ci sono state rivolte nel Rif, ma rivolte urbane in una parte della città di al Hoceima. Per Jamaï, lo Stato ha represso, ma i feriti erano tutti appartenenti alla polizia, comprese persone gravemente ferite. Jamaï non lo dice e Carrion non se ne preoccupa; l’importante è diffamare, insultare, infangare l’immagine, sputare il veleno che ti consuma dall’interno.

“Dbibina” è ulcerato da questo discorso nauseabondo e nauseante del Jamaï. Si esprime come un… “Dbibina” non trova la parola. Rinnegato? Apolide? o forse, più semplicemente, perduto? Dove il Marocco segna punti a livello internazionale, lo nega, e dove il Marocco mostra grande fiducia, gli dice che è arroganza. Non capisce che francesi e spagnoli hanno riconosciuto, ciascuno a modo suo, che il cosiddetto Sahara Occidentale è marocchino.

Aboubakr si spaccia per un grande studioso, un grande pensatore, senza pensieri… se non quelli che marina nel nichilismo più crasso. Usa il ragionamento classico sull’Occidente, su ciò che vogliono la Francia e gli Stati Uniti, e difende un ragionamento superato che non dimostra altro che il fatto che Aboubakr Jamaï è diventato senza saperlo, o forse sapendolo, nemmeno utile idiota dei giornalisti europei che non capivano nulla dell’evoluzione delle cose.

Anche in questo caso “Dbibina” si sente dispiaciuto per questo ragazzo e comincia a pensare al padre di Aboubakr, Khalid, quest’uomo che non ha mai avuto la lingua in tasca, che criticava ma qui, in Marocco, e con rispetto. Che Dio riposi la sua anima.

Aboubakr Jamaï, in definitiva, ha vissuto diversi periodi della sua vita professionale, a cominciare dall’età d’oro del suo “Journal”, poi del suo “Weekly Journal”. Ed è lì che il suo ego ha iniziato a ferirlo. Invece di cercare di salvare la sua rivista dalla bancarotta e dalla cattiva gestione, ha preferito fare il martire, chiudere l’attività, gridare alle molestie e bandirsi dal Marocco. Volò negli Stati Uniti dove sporadicamente scrisse colonne su prestigiosi giornali americani; poi, ritornando in Francia, scese di parecchi gradini, rispondendo alle richieste di “Le Monde”, che era il quotidiano di riferimento, prima di sprofondare in una forma di neocolonialismo sfrenato, richiedendo scrittori pagati e amareggiati, come Jamaï.

Ed è poi approdato a 24 e RFI, le cui agende e linee editoriali sono note. Oggi è rimasto solo un oscuro sito spagnolo, pomposamente chiamato “El Independiente”, a fornirgli un microfono! Senza dubbio finirà, visto il suo percorso accidentato e il suo ego malaticcio, come libero professionista presso ”Annahar al Jazairya”, che gli getterà qualche briciola, con il consenso assicurato della giunta militare!

Related News :