È già tempo di bilanci e, di questo tour autunnale 2024 pomposamente ribattezzato “Autumn Nations Series”, ricorderemo quindi soprattutto gli aspetti positivi del rugby francese. Ci sono anche molti aspetti positivi. Era necessario, per concludere un ciclo annuale che sarà stato in gran parte ingessato nel grigiore, dai quarti di finale dei Mondiali abbandonati per un punto al Sudafrica (29-28), poi dal Torneo 6 Nazioni 2024 e dalla rouste irlandese , la vergogna italiana; i tormenti dell'estate argentina, infine, dove si è parlato evidentemente più di cronaca che di rugby. Insomma, la stronza.
Questa pagina si è appena chiusa con un sorriso, questo venerdì allo Stade de France, con la terza vittoria consecutiva. Un “grande slam” autunnale che rimarrà sicuramente incarnato dal successo contro la Nuova Zelanda (30-29). I Blues, è un dato di fatto, sono davvero tornati. Va bene ed è un sollievo, soprattutto perché la sequenza avrà offerto molte lezioni.
Due osservazioni: sul gioco, il progetto del mandato “Galthié 2” fatica ancora ad affermare i suoi sviluppi, la sua nuova identità – che non impedisce la vittoria. Quest'autunno avremo visto questi Blues lasciare soprattutto il possesso palla all'avversario, usare ancora di più e talvolta molto di più il gioco dei calci (34 a 20 contro il Giappone, 23 a 16 contro la Nuova Zelanda) e rifugiarsi in questo rugby di “espropriazione”. che padroneggia, non appena le avversità si fanno soffocanti.
Contro gli All Blacks questo era evidente: soffocati dalla velocità collettiva e dalle lunghe sequenze dei neozelandesi, i Blues hanno trovato la salvezza nella ripresa con azioni fulminee – il loro marchio di fabbrica. Difendere forte, spingere l'avversario all'errore, poi punire procedendo con i contropiedi, sfruttando alcuni profili esplosivi: la potenza di Meafou o Boudehent, l'esplosività di Bielle-Biarrey o Mauvaka, il colpo d'occhio di Dupont o Ramos da sfruttare ogni palla di recupero. È bello e vince. Tanto meglio. Vincerà per altri tre anni? Dobbiamo sperare…
L'altra osservazione è quella degli uomini e della loro gestione. Questo non è così comune, sotto la guida di Fabien Galthié, e va quindi notato: queste tre partite internazionali sono state occasione di diversi sconvolgimenti nelle gerarchie di ruoli, che l'allenatore aveva generalmente congelato durante i suoi primi quattro anni in carica.
Tutto questo si gioca sull'altare della freschezza, anzi della rigenerazione. Questo è uno dei problemi principali che l'allenatore ha evidenziato nella diagnosi del fallimento agli ultimi Mondiali. L'eccessivo stato di usura delle sue truppe e, quindi, l'imperativo di preservarle al meglio in futuro. Quello che si sforza di fare qui, con una doppia virtù: sollevando di qualche partita i suoi giocatori meno giovani, concede loro questi aliti che fanno bene alla testa e al corpo. Apre le porte anche ad altri nuovi giocatori che trovano l'opportunità di mettersi in mostra per ingrossare le fila del “club Francia”. E allo stesso tempo mantenere un’emulazione che tanto è mancata durante il primo mandato.
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