Quante giovani donne nel cinema indipendente americano, che lottano contro il patriarcato e la sua violenza, sotto l'occhio della telecamera! È diventato un tropo, un motivo così comune che quando leggiamo le sinossi siamo francamente sospettosi e dubitiamo: quando il buon cinema di genere sarà stato messo alla prova con le sue belle luci e la sua morale gentile per anni attraverso la teoria e la lotta femminista , diremo grazie… I tanti – troppi – film che vedo tendono a confortarmi in questa diffidenza ma detto questo, a volte mi lascio sorprendere, ed è stato il caso di un film uscito ieri al cinema , e che si chiama Bravo.
Il film è di India Donaldson, una giovane regista, anche lei figlia di un regista, per la quale questo è il suo primo lungometraggio. Si svolge durante un fine settimana di escursioni nella foresta nella regione di Catskills a nord di New York: un momento nella natura, lontano dal tumulto della città, dal lavoro, dagli smartphone, tra un padre e la figlia diciassettenne Sam , ma anche con il migliore amico del primo. Due uomini adulti, quindi, bianchi, piuttosto borghesi – uno – il padre, tutto appassionato di tutto ciò che è gadget da escursionismo e organizzazione degli zaini, l'altro – l'amico molto meno, un po' depresso per il divorzio e la mancata intesa con i suoi figlio adolescente. E in mezzo, questa giovane ragazza che li osserva, li ascolta, a volte partecipa alle conversazioni. Sulla carta – poster e trailer inclusi – mi spaventa: una giovane regista + una ragazzina in pantaloncini + la bellezza dei paesaggi + una farfalla su un ramo + due boomer + musica un po' anni Ottanta = la promessa di un film che raccoglie pura zeitgeist in un'ora e mezza, potenzialmente immediatamente visibile e immediatamente dimenticato.
Punto di vista
BENE Bravo mi ha sorpreso che non sia il prodotto atteso, procede in modo molto delicato, senza alcun didatticismo, in dialoghi molto giusti e ben interpretati in particolare da questa giovane attrice chiamata Lily Collias. Il film descrive una differenza sia generazionale che sessuale senza fare grandi cose, e infonde rischio e disagio con un senso del ritmo piuttosto notevole, fino a una scena finale in un'auto che trovo particolarmente ambigua.
Mi ha fatto pensare ad un'altra scena finale, ambientata in macchina, dove anche un'altra ragazzina si ritrova con un uomo: Anora, l'eroina del film omonimo, uscito due settimane fa, vincitrice dell'oro, molto più magniloquente fiore all’occhiello del cinema indipendente americano. I film sono molto diversi, ma li ho comunque usati per capire il perché Bravo Mi è piaciuto: ecco un film che guarda alla sua eroina senza troppi eccessi, a differenza di Anora e di tutta una serie di altri personaggi femminili che a volte si ritrovano schiacciati da storie che, volendo indubbiamente emanciparle, le sovradeterminano.
Ieri ho visto probabilmente uno dei peggiori film dell'anno, si chiama Papàesce all'inizio di dicembre, e si tratta ancora di una giovane donna in macchina, alla quale un vecchio tassista, alias Sean Penn che sembra imitare Sylvester Stallone, impara a conoscere la vita in un'ora e quaranta di viaggio da un aeroporto. a casa sua, e semplicemente le indica la strada per essere più felice come donna e non lasciarsi ingannare da uomini come lui. Campione.
Ciò che è bello in Bravo è il punto di vista, è il modo in cui resta fedele al suo personaggio, e non si lascia andare, anche se Sam parla poco, anche se non sappiamo cosa esprima il suo volto, dall'espressione spesso indefinibile: il regista si arrende nulla in confronto al didatticismo della favola femminista, ne segue semplicemente le tracce, lei stessa un'escursionista, e quando il film finisce, rimane qualcosa di assolutamente indecidibile, un'oscillazione tra il gentile e il serio, che può anche essere un abisso, e lì è qualcosa dell'esperienza femminile che viene rappresentata in modo molto più fine e profondo allo stesso tempo.
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