Una delle più grandi voci della “Musica popolare brasiliana” ha ripercorso tutta la sua carriera durante un concerto tutto esaurito domenica sera a Parigi. Con un'eleganza impeccabile.
Di Anne Berthod
Pubblicato il 4 novembre 2024 alle 17:05
UNu Brasile, ha l'aura di una Maria Bethânia o di una Gal Costa (scomparsa nel 2022). In Francia il suo nome resta sconosciuto al grande pubblico, ma fa il tutto esaurito ad ogni sua apparizione, attirando un pubblico di connazionali adoranti e qualche dilettante illuminato. Due anni dopo il trionfo alla Salle Pleyel, sulla scia di un album acclamato dalla critica (Porte), la cantante Marisa Monte, una delle più grandi voci del Musica popolare brasiliana, si è esibito domenica 3 novembre al Grand Rex, locale parigino che lei conosce bene, nell'ambito del suo tour “Greatest Hits”: una maratona di una ventina di date in un mese, la maggior parte esaurite, per la quale la stampa, mancando di un disco da promuovere, fu invitato alla spicciolata.
Pochi giorni prima, il manager dell'artista aveva avvertito: «I concerti sono troppo ravvicinati, Marisa non rilascia interviste, conserva la voce. » La capiamo, questa è forse la sua cosa più bella, una voce limpida, melodiosa e rigogliosa, esperta nel canto lirico, che lasciò per studiare in Italia quando aveva 19 anni. Questo prima che venisse avvistata in un bar romano dal produttore Nelson Motta. Prima di ritornare in patria e gettare le basi, in un primo album (1989) registrato dal vivo all'età di 22 anni, del suo stile eclettico, nutrito di pop, jazz, soul e samba.
Una donna libera e avventurosa
L'abito teatrale in cui la diva carioca appare in scena, piuttosto maestoso, è un riflesso di questo sincretismo. Come spesso è vestita di nero, il nero chic della Callas, prima musa ispiratrice della sua giovinezza, di cui possiede anche un sorriso disarmante. Ondulata nelle sue lunghe gonne a balze, Marisa Monte è per il resto bohémien. Con il suo bolero di pizzo, il suo cappello da flamenco, i due fiori luminosi incastonati tra i suoi capelli corvini, sembra più una ballerina sivigliana che una regina del bel canto.
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“Treni rovesciati, passione folle e commovente / Nelle direzioni, programmate e inquadrate, aspetterò romantico”, canta in apertura del suo recital. Si accampa lì vera Maria della canzone composta agli inizi degli anni '90 dal bahiano Carlinhos Brown. Figura astratta, questa Maria rappresentava una maga, una romantica, una donna libera e avventurosa, in un'epoca in cui lei stessa si mescolava con spiriti avventurosi come Carlinhos Brown, Arnaldo Antunes o Nando Reis, e collaborava strettamente con i chitarristi newyorkesi Arto Lindsay e Marc Ribot, ha invitato nei suoi dischi anche luminari come il compositore americano Philip Glass.
Sul palco del Grand Rex la voce della nostra “Marie della verità” non è ancora molto sicura, ma in due o tre titoli finalmente prende il volo, scaldata da duemilaottocento spettatori che conoscono a memoria tutte le sue canzoni e trasformare ogni suo concerto in cori giganti. Dei suoi primi grandi successi (Danza della solitudine, Baciami…) al periodo Tribalistas, dal nome di questo super trio vocale che formò con Carlinhos Brown e Arnaldo Antunes (Vecchia infanzia, so già come uscire con qualcuno…), attraverso le immortali canzoni d'amore dell'album Ricordi, cronache e dichiarazioni d'amore (“Ricordi, cronache e dichiarazioni d'amore”, 2000), attraversa, disordinatamente, trentacinque anni di repertorio: varietà di classe al crocevia tra lo studioso e il popolare, belle melodie, orchestrazioni sofisticate.
Questi ultimi vengono purtroppo riproposti questa sera sull'economico, con brani preregistrati. I suoi musicisti (i famosi Dadi, ex Novos Baïanos, e Davi Pires alle chitarre, il giovane Romario Junio “Pupillo” – 14 anni! – alla batteria, Angelo Silva “Pretinho da Serrinha” alle percussioni e cavaco) sono tuttavia impeccabili, ma la loro formazione ridotta, molto più intima rispetto ai grandi ensemble che hanno reso grandiose certe passate esibizioni di Marisa Monte, si presta maggiormente alle sue canzoni più raffinate. Il suo tenero Tenero, standard di Pixinguinha (1917), che cantava spesso con Paulinho da Viola e che eseguiva seduta su uno sgabello con la sua chitarra, è un momento di grazia.
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A 57 anni Marisa Monte ne dimostra dieci di meno e coltiva una memoria secolare. È quando attinge ad un repertorio più tradizionale che la preferiamo. Come un ritorno a casa per questo bambino di Portela, nome di una famosa scuola di samba di Rio de Janeiro. Suo padre, Carlos Monte, era uno dei suoi leader. Lei stessa ha dato il suo contributo quando si è impegnata a raccogliere vecchi samba dimenticati dagli anziani e a farli rivivere con il raffinato Paulinho da Viola o con il gruppo Velha Guarda da Portela.
Al termine del suo recital, davanti ad un pubblico che aveva disertato le file di poltrone per accalcarsi davanti al palco, la cantante si è esibita in un'ultima samba vintage in mezzo ad un bouquet di successi: il cult La ragazza ballades Novos Baianos, il pastiche romantico Amore ti amo, e l'inarrestabile So già come uscire con qualcuno sollevare i corpi. Per il suo ultimo bis, Marisa Monte ripete, a cappella, l'indistruttibile Per quanto volessi, il successo del suo debutto (1989). Il cerchio è chiuso. A metà della canzone le luci si spengono. Nel buio, la regina scompare, con assoluta eleganza, lasciando che sia il suo pubblico a finirlo per lei, in un'ultima comunione popolare.
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