I Vigato padre e figlio rilevano la Marius con Romain Dubuisson
Romain Dubuisson e Jérôme Vigato © GP
Marius, boulevard Murat a Parigi 16: era il buon ristorante discreto dedicato ai frutti di mare situato a due passi dal Parco dei Principi gestito da François Grandjean da quasi 35 anni. Quest’ultimo ha venduto la sua casa a un trio a lui vicino: Jean-Pierre Vigato, suo ex cognato con il quale ha creato tre annessi gastronomici (A & M il bistrot, A per Apicius, M per Marius), Jérôme Vigato, suo nipote e figlio di Jean-Pïerre – che abbiamo visto non molto tempo fa alla Grande Arche della Défense e a Les Amis vicino all’Odéon nel 6 – infine, ultimo, ma non per importanzaRomain Dubuisson, il fedele allievo del ragazzo Jean-Pierre con cui gestisce Disciples, non lontano da Marius nell’ex bistrot A&M nel 16esimo. Cosa c’è di nuovo? La casa un tempo vecchia o invecchiata, con il suo ferro battuto degli anni ’50, ha subito un serio restyling. E il menu, curato con cura da Romain, mentre Jérôme ravviva la sala con allegria, è di totale seduzione marina. La migliore zuppa di pesce di Parigi (con la sua tartare di orata), più un granchio al naturale degno di quello del Duc (il riferimento del genere!) o anche un Colbert Whiting da mettere in ginocchio, ecco cosa scoprirete dopo una serie di pesci crudi e marinati di altissima qualità. Ne parleremo presto!
L’Olimpo e la sua leggenda
Era un’icona gourmet degli anni ’70, figlia di un oste del Var di origine corsa e pittrice di talento, creò, con il marito Albert, conosciuto all’università, il ristorante Olympe, rue du Montparnasse, fu la regina dei gamberi saltati e del miele -piccione glassato, scampi con pasta fresca e trippa piccante. Tutta Parigi e tutta Hollywood si sono incrociate lì, così come rue Nicolas Charlet, da Francis Ford Coppola a Catherine Deneuve, da Claude Berri a Eddie Barclay. Dominique Versini alias Olympe, autodidatta pura e dotata, aiutata dal marito PR Albert Nahmias, è diventata una regina dei media, in TV, alla radio, sulle pagine di Le Figaro, sul set di Bernard Pivot ai tempi di Apostrofi, con Paul Bocuse, Paul Haeberlin e gli altri, è stata la prima donna a occupare il primo posto (con una stella Michelin e un 18/20 da Gault & Millau) nel cuore di un ambiente maschilista. La ritroveremo poi al Virgin Megastore, poi a Casa Olympe rue Saint-Georges nel 9, mentre si cimenta con successo nella bistronomia. Infine, è diventata in parte italiana a Vernole, in Puglia, vivendo lì la sua vita libera e bohémien, cucinando per i suoi amici. Crea anche gioielli, segno così di non aver mai perso quest’anima artistica lasciata in eredità dalla madre. In un libro appassionato e vibrante, Anne Ettore racconta la sua storia, costruisce la sua leggenda, dipinge il suo ritratto con passione e una miriade di documenti poco conosciuti o intimi. Si intitola “Olympe una cuoca libera”, ed esce il 9 ottobre da Hachette Cuisine. Un libro di cucina e d’amore davvero diverso da qualsiasi altro…
Metz e la Mosella ospiteranno l’uscita di Michelin France 2025
Centro Pompidou Metz
Ebbene, sarà Metz nel 2025! Dopo Strasburgo nel 2022, è la seconda città del Grand Est a ospitare l’uscita della guida Michelin Francia. L’annuncio sarà ufficiale il 15 ottobre nel corso di una conferenza stampa. Il dipartimento della Mosella sarà il partner principale, senza dimenticare la regione del Grand Est, e la città di Metz sarà la sede centrale, con il Centre Pompidou, progettato da Shigeru Ban e Jean de Gastines, molto vicino al Centro Congressi progettato da Wilmotte . con il suo auditorium da 1.300 posti. La capitale della Mosella, ovviamente, non ha più ristoranti stellati (anche se il dipartimento ne conta sei: Quai des Saveurs a Hagondange, Toya a Faulquemont, Auberge Saint-Walfrid a Sarreguemines, Michèle a Languimberg, il K del Domaine de the Klauss a Montenach vicino al Lussemburgo e Arnsbourg a Baerenthal al confine con l’Alsazia). Uno dei beni della Mosella? La sua posizione europea all’incrocio di tre confini: belga (lato Arlon), tedesco (con Saarbrücken) e il Granducato di Lussemburgo (Frisange – dove regna l’unico Bocuse d’Or femminile Léa Linster) è a soli 40 minuti!). E le sue stelle in divenire. Sappiamo che Yozora creata da Charles Coulombeau – già protagonista della Maison dans le Parc – nel cuore del Centre Pompidou potrebbe facilmente procurarsi l’amaretto. E l’atteso Hôtel Heler, progettato da Philippe Starck, concepito come un edificio monolitico sormontato da una casa neo-alsaziana del XVIII secolo, annunciato dal 2015 e i cui lavori sono iniziati nel 2018, sempre nel nuovo anfiteatro e congresso, dovrebbe finalmente aperto poche settimane prima dell’arrivo dell’evento Michelin previsto per metà marzo 2025.
Casa Heler © DR
Gilles Goujon alla Micheline
Gilles Goujon e la squadra © DR
È, se conti bene, il 10° collegamento dei Bistrots Pas Parisiens. Dopo Sapristi, Saperlipopette, Splash, Macaille, La-haut e pochi altri, il gruppo di Hakim Gaouaoui cresce. La sua ultima creazione: “Micheline”, un omaggio ai vecchi treni e al passato ferroviario, nell’antica stazione di Sèvres, costruita in occasione dell’Esposizione Universale del 1889. Responsabile delle cucine del luogo – arredate con cura, in particolare nei colori marrone e rosso toni: Gilles Goujon, lo chef tre volte stellato del F0ntjoncouse che propone una cucina d’ispirazione tradizionale, con prezzi contenuti, menù generosi (29€ a pranzo, 39€ a cena) e piatti da condividere. In evidenza: blanquette di vitello e riso pilaf e rouille di calamari alla Sétoise.
L’arredamento © DR
Emilio Giagnoni c’est Noto !
Emilio Giagnoni © GP
Emilio Giagnoni? Vi avevamo parlato due anni fa di questo giovane sardo, allenato da Sergio Mei al Four Seasons di Milano, che ha lavorato al Marco Fadiga di Bologna, poi allo stellato Parizzi di Parma, prima di trasferirsi a Milano poi a Parigi, dove ha fu il secondo di Simone Zanoni dopo il Giorgio delle FS Giorgio V, e che lo accompagnò nei suoi viaggi in tutto il mondo (in Australia, Hong Kong, Beirut). A Noto ha carta bianca per deliziare la clientela chic di Parigi, al 2° piano della Salle Pleyel di Parigi. Naturalmente veniamo per l’ambiente raffinato, progettato da Laura Gonzalez, in stile Art Déco, con le sue panchine, tappeti, toni verdi, mosaici e tadelakt al bar. Ma la cucina del focoso Emilio merita sicuramente una deviazione. Fine, fresco, leggero, crea un menu malizioso che lo rende la perla italiana del Gruppo Moma di Benjamin Patou. I suoi carciofi cotti e crudi, con bottarga e parmigiano, il suo morbido vitello tonnato servito con cuore di filetto di vitello e una leggera maionese, come il pregiatissimo carpaccio “Gamberi Rossi” con ricotta fresca e caviale di limone – più caviale! – e la ventresca di tonno in crudi con olio mediterraneo e pinoli costituiscono antipasti vivaci, pertinenti e convincenti
Emile de France potenzia Nicolas Flamel
Emile de France e Bathilde Tautou © GP
Nicolas Flamel, nel 3°? È la locanda più antica di Parigi, dove risiedeva l’alchimista Nicolas Flamel, risalente al 1407. Ed è lì che abbiamo incontrato Alan Geaam nei suoi primi giorni. Da allora, l’intraprendente è diventato lo chef stellato a suo nome in rue Lauriston, al 16, mentre creava, a due passi dal suo primo locale, Qasti, un bistrot libanese di qualità, oltre a un falafel bar, senza dimenticare una panetteria. (Faurn), una pasticceria e un negozio di alimentari. In altre parole, un impero nell’impero! Dopo la partenza di Grégory Garimbay per Saint-James avenue Bugeaud, Alan Geaam colloca lì in rue Lauriston l’uomo che era il suo chef: Emile de France, 31 anni, ex allievo di Sylvestre Wahid al Thoumieux e di Yannick Alléno al Pavyllon, più il la sommelier Bathilde Tautou, che abbiamo visto di recente a Lione in rue Saint-Marc. Insomma, in un ambiente storico ristrutturato sotto le travi, e su due piani, gustiamo piatti vivaci, limpidi, maliziosi, come il granchio di Plouguerneau con caviale e succo di granchio iodato, i funghi selvatici con duxelles di porcini e l’Iraty di Ossau, astice blu con carciofi e prugne oppure piccione di Racan con bietole e grano saraceno. Da riscoprire!
Matthieu Fève lancia il Phalsbourg
Arthur Raveau e Matthieu Fève © GP
Qui, a due passi dal Parc Monceau, in un quartiere che ricorda l’Alsazia-Mosella annessa alla Prussia dal 1871 al 1918, c’è una strada dedicata alla cittadina lorenese da cui partì il Tour de France di due bambini e che fu terra d’elezione dei duo di scrittori Erckmann-Chatrian – le strade di Logelbach e Thann sono proprio lì accanto. La rotonda che ospita il parco Monceau è a due passi e qui si trovano numerosi ristoranti. Matthieu Fève, 25 anni, che ha lavorato soprattutto nella sala del Gay aux Botanistes, ha trasformato un piccolo ristorante italiano che serviva principalmente pasta e pizza, in un bistrot francese di buona compagnia con il suo bancone di servizio in legno, le sue panche rosse, le sue due sale decorate con souvenir gourmet e una raccolta di vecchi libri di cucina. Maliziosa la scelta dei vini – Nicolas Decatoire du Gavroche è un po’ il padrino del locale –, con una carta abbondante e una miriade di vini al bicchiere, e, in cucina, Arthur Raveau, 28 anni, giovane l’ex Michel Roux di Londra, che ha lavorato nel gruppo Ducasse (Spoon, Aux Lyonnais) a Parigi, cucina piatti sulla lavagna per tutto il giorno.
Bistrot dal patrimonio immateriale francese
Christophe Hantz a Vaudésir © MR
Questo è tutto, è fatto! Proprio come la baguette, i tetti di Parigi o i soufflécul di Nontron, l’arte di vivere dei nostri zinchi, o più precisamente “le pratiche sociali e culturali nei bistrot e nei caffè in Francia”, sono entrate ufficialmente a far parte dell’inventario delle Ministero della Cultura, essendo quindi classificato come parte del patrimonio immateriale della nazione. Un risultato che corona lo straordinario lavoro svolto da Alain Fontaine, attivista e capo carismatico di Mesturet in 2nd e dell’Associazione Bistrots & Cafés de France, che dalla sua creazione nel 2018, riunisce capi, artisti e personalità che condividono la stessa assaggiare lo zinco e lavorare instancabilmente per salvaguardare questa eccezione culturale francese. Scartoffie, ribaltamenti, blocchi… per 6 anni il percorso verso la croce non è stato facile ma diciamolo, è una vittoria. Il prossimo passo? Un patrimonio UNESCO, sinonimo di riconoscimento internazionale per questo orgoglio tricolore che, oltre a svolgere un ruolo essenziale nella vita dei francesi, attira milioni di turisti che vengono a cercare “questo vero sapore” della Francia nelle nostre città e nelle nostre campagne. La fraternità intrecciata attorno al bancone, i piatti della tradizione a prezzi contenuti senza dimenticare questi osti d’eccezione e queste decorazioni che attraversano il tempo rappresentano tanti monumenti viventi da godere ogni giorno. Quindi tutti al bistrot per celebrare questa bella notizia e unirvi all’Associazione Bistrots & Cafés de France, che ha più che mai bisogno di voi, per inserire i nostri banconi e bar nel menu del patrimonio mondiale dell’umanità!
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