“La guerra non risparmierebbe nessuno”
“Ero solo un bambino quando scoppiò la guerra. Avevo 9 anni, Comincia Teresa. Ma ricordo questa sorda ansia che regnava. Non appena suonò la sirena, il mio cuore batteva forte. Ci rifugiavamo sotto i tavoli, nelle cantine, con gli occhi spalancati per la paura di ciò che non capivamo. Nonostante la preoccupazione circostante, Thérèse ricorda con tenerezza la quotidianità che lei e gli altri bambini sono riusciti a preservare, quasi come una sfida di fronte al tumulto del mondo degli adulti. “Giocavamo, ridevamo ancora, anche se, da qualche parte, sentivamo che tutto era fragile, incerto. C’erano momenti felici. E poi eravamo giovani. Non sempre capivamo tutto quello che stava succedendo.”
Lucienne, nata nel 1930, concorda silenziosamente con le parole di Thérèse prima di evocare i propri ricordi della guerra. Nelle campagne la vita sembrava più tranquilla, quasi protetta, come se i flagelli della guerra arrivassero attenuati. “Mia nonna coltivava la terra, avevamo animali; la fame ci colpiva, certo, ma non eravamo privati come gli altri, confida. La vita era ancora più facile quando eravamo fuori città.” Ma in questa quotidianità apparentemente più dolce, l’ombra della guerra incombeva, insidiosa, squarciando talvolta il silenzio dei campi con un rombo sordo, un chiarore lontano. “A volte c’era un’esplosione, un rumore strano, e allora sapevamo che la guerra non avrebbe risparmiato nessuno, nemmeno i piccoli villaggi. Ricordo molto bene l’evacuazione. Dovevamo partire in fretta. Mia zia è stata uccisa da una pallottola al collo. confida il novantenne di Gembloux.
“Il male finisce sempre per essere sepolto”
Lucienne ricorda anche l’arrivo dei soldati americani, giovani e gentili, la sera della guerra. Sorride, come a voler catturare un pezzo di questo momento rubato alla storia. “Erano alti, sorridenti, ci hanno offerto cioccolata, dolci”. E Teresa aggiunge: “Ci siamo inginocchiati, sono stati molto gentili”.
Ma, col passare del tempo, gli orrori dei campi di concentramento si sovrapposero ai loro ricordi d’infanzia. “Non potevamo immaginare, non potevamo capire, che un simile orrore fosse avvenuto, così vicino a noi, nel nostro mondo”insiste Lucienne. Il silenzio cala tra le due donne prima che Teresa continui con il suo sorriso benevolo che non la lascia mai. “Abbiamo sperimentato la scarsità, ma avevamo qualcosa di prezioso che gli anni non hanno cancellato: la speranza, questa capacità di credere, anche nel peggiore dei casi, che la vita sarebbe tornata al suo corso normale. Il male finisce sempre per essere sepolto.” Per quanto riguarda la sua vicina, è sfumata. “I giovani non vivono più nel nostro stesso mondo. È tutto così diverso. C’è tanto orrore ovunque. Ho paura che ricominci da capo, che la storia si ripeta e ci sarà un’altra guerra. Sarebbe davvero terribile .”
Per queste donne, testimoni dello strappo, trasmettere è una necessità, un dovere quasi sacro, un ultimo messaggio per le generazioni che verranno. Le loro parole sono intrise di un misto di gravità e dolcezza, come un’eco del passato indirizzata ai cuori di oggi. “Se dovessi lanciare un messaggio ai giovani di oggi?” dice Thérèse con un sorriso pensoso. “Direi loro di avere dei programmi, di alzarsi ogni mattina con un’idea, un obiettivo, anche modesto, per la loro giornata. Avere un obiettivo, anche piccolo, è fondamentale”. Per queste donne, che hanno vissuto tanti momenti significativi, è l’amore per gli altri, l’attenzione rivolta alle persone, che dà tutto il suo valore all’esistenza. “Dobbiamo essere gentili gli uni con gli altri. Un sorriso non costa nulla. Quando vedo le persone felici, sono felice.”
Per Lucienne il dovere di ricordare è un peso che preferisce tacere
Centenario, Lucienne Thibonne racconta i ricordi intensi della guerra, un passato che porta dentro di sé come un fardello di silenzio e resilienza.
Per Lucienne Thibonne ricordare questo periodo non è banale. Il ricordo della guerra è per lei come un campo minato emotivo dove ogni ricordo può esplodere in frammenti di dolore e nostalgia. Oggi, però, accetta di parlarne, testimoniando la resilienza di una generazione segnata dal sacrificio e dalla sofferenza.
È attraverso parole cariche di emozione, talvolta intervallate da un silenzio carico di ricordi, che il centenario rievoca gli anni bui della Seconda Guerra Mondiale. Nata nel 1922, aveva 18 anni nel 1940, quando le prime ombre della Seconda Guerra Mondiale calarono sul Belgio, trasformando la vita delle famiglie, le loro speranze e la loro quotidianità. “Quando è scoppiata la guerra mi hanno detto di partire e siamo andati ad Amiens con i miei genitori”esordisce, con lo sguardo perso nei ricordi di un tempo segnato dall’incertezza e dalla paura. Lucienne ricorda i primi giorni di guerra, il momento in cui l’innocenza e la spensieratezza della giovinezza lasciarono il posto alla brutalità degli eventi. “C’erano dei soldati francesi, molto vicino alla casa dei miei genitori, e dissero a mio padre che dovevano andarsene perché ci sarebbe stata una battaglia da noi, a Gembloux.”
“Non voglio ricordare.”
Lucienne visse questo periodo nella solitudine e nell’angoscia, essendo il marito prigioniero in Germania. “Era impegnato a fare il suo mese di servizio quando scoppiò la guerra e fu preso dai tedeschi. Fu dura. Perché ero tutta sola con i miei genitori… non sapevo dove fosse in Germania”dice prima di fare una pausa. “Voleva scappare ma una guardia, con la pistola in mano, lo ha fermato”sussurra.
La Gembloutoise, 102 anni, evoca anche la precarietà della vita quotidiana. Il cibo, scarso, veniva condiviso con parsimonia, ogni pasto era un atto di resistenza alle privazioni imposte dalla guerra. Ma non è un argomento di cui si parla spesso. “È difficile parlarne perché non voglio ricordare” confida, con lo sguardo fisso su un passato che preferisce tacere. “È troppo doloroso”insiste. Porta dentro di sé, nel silenzio, il dovere della memoria. Raramente condivideva queste storie con i suoi figli o nipoti, forse ritenendo che questo peso non dovesse essere trasferito.
Al tramonto della sua vita, Lucienne Thibonne porta dentro di sé la storia di un’epoca che molti hanno dimenticato, e lo fa con una dignità intrisa di una certa saggezza. La guerra ha segnato la sua esistenza, ma non ha distrutto la sua umanità, quella che trasmette implicitamente in ogni parola, in ogni ricordo condiviso, come ultima prova di resilienza.