Martin Dahinden conosce bene i meccanismi interni della Casa Bianca. Il 69enne zurighese ha lavorato come ambasciatore della Svizzera negli Stati Uniti dal 2014 al 2019, quando erano al potere Barack Obama e poi Donald Trump. In un’intervista a “NZZ”, l’ex diplomatico ha parlato del ritorno al potere del miliardario. Senza prendere posizione, si è detto felice che “l’elezione non abbia comportato lunghe procedure legali”.
Secondo Dahinden, è stato concentrandosi su semplici questioni relative all’immigrazione e all’economia che Donald Trump ha vinto. “Questi temi preoccupano molto gli americani”, spiega il diplomatico. Il repubblicano ha dato risposte facili per radunare dietro di sé i suoi sostenitori. “America First” è uno slogan che affronta l’isolazionismo desiderato da molti elettori, osserva.
Mentre alcuni Stati temono che il ritorno al potere di Trump, in particolare con il “Progetto 2025”, possa incidere sui processi democratici del Paese, Martin Dahinden aggiunge una sfumatura: “Le istituzioni americane sono estremamente resistenti”, assicura al quotidiano zurighese.
L’ex ambasciatore ammette però che Trump può sconcertare. “Come spiega lui stesso nel suo libro The Art of the Deal, usa l’imprevedibilità come tattica negoziale”. Un approccio totalmente diverso da quello di Barack Obama, la cui amministrazione ha pianificato tutto in modo strategico, con una visione a lungo termine. “Con Trump, il principio era spesso quello di sfruttare immediatamente le opportunità che si presentavano”.
Per la Svizzera, attualmente rappresentata a Washington da Ralf Heckner, questa imprevedibilità ha rappresentato una collaborazione complicata all’epoca del primo mandato del miliardario. La sua comunicazione via Twitter era spesso difficile da comprendere. “Il lavoro di ambasciatore era diventato più arduo. Ci siamo chiesti, cosa sta succedendo di nuovo? Cercavo di interpretare questi brevi messaggi, che sembravano essere stati digitati dallo stesso Trump sul suo smartphone”, ricorda Martin Dahinden.
In termini di comunicazione diretta, il repubblicano era molto più concreto. “Spesso le sue dichiarazioni sono uno spettacolo politico”, sottolinea il diplomatico. Ma durante gli incontri alla Casa Bianca o al WEF era molto diverso: era concentrato, professionale, faceva domande e conosceva i suoi dossier.
In questi incontri Trump si comportava generalmente come un uomo d’affari. Era pragmatico e cercava sempre ciò che era vantaggioso per gli Stati Uniti. In questo contesto non ha rilasciato dichiarazioni radicali. E Martin Dahinden ha aggiunto che per la Svizzera è importante sottolineare il suo ruolo importante come investitore e creatore di posti di lavoro.