No alla commercializzazione degli interventi chirurgici!

No alla commercializzazione degli interventi chirurgici!
No alla commercializzazione degli interventi chirurgici!
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Abbiamo appreso con stupore della volontà del ministro Dubé di offrire una ventina di interventi aggiuntivi a centri medici specializzati privati.

Ad essi si aggiungerebbero quelli della cataratta, del ginocchio e dell’anca. Incapace di ridurre le liste d’attesa, il governo cerca di fare bella figura presentando l’utilizzo delle cliniche private come complemento dei servizi della nostra rete pubblica. Si tratta, però, piuttosto di un’infezione che si insinua e corrode progressivamente gli organi di una rete pubblica che un tempo ci rendeva orgogliosi.

Noi della Coalizione per la Solidarietà Sanitaria siamo molto preoccupati per la traiettoria intrapresa dal governo negli ultimi anni. Il bacino di manodopera nei servizi sanitari e sociali è limitato e il settore privato funziona come un vaso comunicante con il settore pubblico: spogliamo Paul per vestire Jacques. Questa dinamica accentua la carenza di personale che incide direttamente sulla qualità e sull’accessibilità delle cure per la popolazione.

Anche la privatizzazione contribuisce alla destrutturazione della rete. Il ministro, infatti, consente ai centri medici specializzati di selezionare solo i casi più redditizi, operati nelle fasce orarie diurne, lasciando al settore pubblico gli interventi più complessi o a rischio di complicazioni. Questo circolo vizioso porta ad un peggioramento della situazione: più si sviluppa il settore privato, più personale deve coprire turni meno attrattivi nel settore pubblico; e tanto più competenze e personale abbandonano la rete. Il ministro ha poi lamentato che diverse operazioni non potevano essere effettuate nella rete pubblica per mancanza di personale.

Operazioni “gratuite” che costano

Il ministro continua a ripetere in ogni sede che le cure offerte nei centri privati ​​saranno “gratuite”. Questo è falso! Se già riconosce che ricorrere ad agenzie di personale private è più costoso, perché mantiene così oscuro il costo degli interventi chirurgici eseguiti in queste cliniche specializzate? Il conto sarà molto più alto e dovrà essere coperto dalle tasse dei contribuenti.

L’esempio della Columbia Britannica dovrebbe tuttavia servire da monito. Dopo aver constatato quanto fossero più costose le procedure private, questa provincia ha dovuto iniziare ad acquistare alcune strutture private per limitare i danni finanziari. Perché non imparare lezioni da ciò che è stato fatto altrove, invece di tuffarsi a capofitto nella stessa impasse?

Se il governo ha i mezzi per pagare queste somme al settore privato, perché non investirle invece nella modernizzazione e nell’ottimizzazione della nostra rete pubblica? Perché scegliere di promuovere la commercializzazione delle cure e dei servizi offerti alla popolazione? Perché non adotta invece un approccio preventivo, in particolare agendo sui determinanti sociali della salute, invece di puntare su un approccio puramente curativo e quindi più costoso?

Perché persiste nel centralizzare e allontanare ulteriormente i cittadini dal processo decisionale trasferendo il loro potere a una manciata di manager, spesso provenienti dal settore privato? E perché smantellare il nostro modello universale, che garantiva parità di accesso alle cure per tutti, per sostituirlo surrettiziamente con un sistema modellato sul modello americano? Quest’ultima, controversa e iniqua, fa dipendere il diritto alla salute dalla capacità di pagare – una deriva costosa che tradisce gli stessi valori di equità e giustizia sociale che dovrebbero guidare il nostro sistema.

Queste sono domande fondamentali che dobbiamo porci collettivamente se vogliamo ripristinare l’accesso a una rete veramente pubblica, universale ed equa.

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Cortesia

Sofia Verdon

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Cortesia

Geneviève Lamarche

Co-coordinatori della Coalizione per la Solidarietà Sanitaria

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