CRITICA – Un uomo al crepuscolo della sua vita si ritrova di fronte alla possibilità di un ultimo amore. Doloroso.
Sappiamo che Bernard Malamud fa parte, con Saul Bellow e Philip Roth, della Santissima Trinità di “grandi romanzieri ebrei di New York” della seconda metà del secolo scorso, ma se William Dubin, l'eroe di Vite multiple di William D. (1979, il suo penultimo romanzo, pubblicato da Flammarion nel 1980) è un ebreo, che alla fine non ha avuto alcun impatto sulla storia. Racconta la vita di un uomo che si appresta a superare, con ansia, il traguardo dei 60 anni.
William Dubin vive nel New England, nel Vermont. Ha sposato sua moglie Kitty dopo molto ritardo, ma sembrano felici. Ebbero una figlia, Maud, di 20 anni, e Dubin adottò Gerald, noto come Gerry, il figlio del primo matrimonio di sua moglie. Dubin è uno scrittore, e più precisamente un biografo. Dopo aver raccontato la vita di Thoreau e Mark Twain, si lancia in quella di DH Lawrence. Ma poi Kitty assume Fanny, una studentessa, come governante, e la vita di Dubin cambia.
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