romano
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Nella sua storia, la giovane poetessa e scrittrice racconta una riunione familiare chiusa attorno a un bambino muto.
Di lui non c'è più alcuna traccia. Le foto furono buttate via, anche i vestiti, “nessuna menzione” del suo nome dal giorno in cui ha sparato. La cartuccia del suo fucile da caccia si conficcò nel soffitto della cucina, il legno della trave si spaccò. Non è rimasto nulla di lui “quella palla / sopra di noi ogni giorno / questa buca / grande quanto il mio pollice / che mi guarda / ogni mattina / che mi ricorda / quanto l’angoscia può far male”. Era Nathanael, il fratellino soprannominato Nati, che avrebbe dovuto prenderlo. L'assente – che si ritiene essere il padre – gli ha puntato contro la pistola per farlo tacere. Perché Nati urla, si rannicchia a terra, morde. Il suo corpicino lotta tra le braccia di sua madre, incapace di calmarlo. Di fronte al fucile, il “grande fratello maggiore”, muto da quando ha violentato sua sorella (il narratore), canta una canzone, “uno dei preferiti di Nati”. Nati guarda questi due esseri cercando di proteggerlo dall'uomo armato. Fissa le loro mani agitate. Il narratore osserva inoltre, “Mi sentivo /piccolo”, ha detto. Si tira la pelle, quella all'inizio dell'unghia, abbastanza sottile da poter essere strappata via con un movimento rapido. Tiene la lingua in bocca, non lo fa “non lasciare che /si agiti /urti [s] molari /contro [s] palatiamo / ci agitiamo / formiamo parole”. Le mura di casa custodiscono le nevrosi e i segreti dei suoi abitanti, loro sanno tutto e preferiscono tacere. Lei scrive: “È
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