Martedì San Francisco
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Con “L'arpista delle terre rosse”, il romanziere francese crea un universo affascinante, mescolando i codici del fantasy con quelli del western.
Una donna con la testa di un'arpa. Uno spettacolo di danza che si trasforma in giochi circensi. La musica come strumento di tortura… La scena iniziale di l'Arpista delle Terre Rosse ci prende subito. In poche pagine, la penna di Aurélie Wellenstein ammalia e apre le porte a un mondo ricco.
Nacarat è una sorta di Far West, un territorio vasto e luminoso che attira coloni in cerca di fortuna e avventura. Ma queste terre sono popolate da mostri dotati di poteri soprannaturali, e il modo migliore per affrontarli è farsi innestare un pezzo di uno di essi. I cacciatori di taglie si sforzano quindi di ucciderli in gran numero e non sempre i chirurghi sono scrupolosi nell'effettuare le operazioni. Problema: questi trapianti conferiscono alla persona che li subisce un potere corrispondente a quello dell'animale, ma anche un prezzo pesante da pagare, una “debolezza” che può handicapparla.
Abramo ha 20 anni. Suo fratello Jarod è stato catturato dall'arpista e non sa se è ancora vivo. Decide di trovarlo, diventando uno dei pochi a vagare per Nacarat in cerca di qualcosa di diverso dalla fortuna. Per penetrare in queste terre sconosciute e raggiungere Symphony, il luogo su cui regna l'arpista, unisce le forze con un gruppo di mercenari che, tutti, sono stati trapiantati mentre lui no. Il romanzo rallenterà quindi il suo ritmo. Wellenstein si prende il tempo per affezionarsi ai suoi personaggi, per rivelare la loro storia, i loro complessi, i loro traumi. I collegamenti si evolvono,
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