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Esiste letteratura ebraica?

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Papa Francesco ha appena pubblicato un testo nel luglio 2024 in cui incoraggia i sacerdoti e i cattolici leggere romanzi – cita in particolare Proust e Borges. Vedere il capo della Chiesa cattolica elogiare la frequentazione di opere “non cattoliche” rappresenta una svolta nella storia dell’istituzione. E i rapporti tra letteratura e religione nell’ebraismo? Esiste una letteratura ebraica? Possiamo dire che i di Kafka, Elie Wiesel, Philip Roth o Georges Perec sono “libri ebraici”? Ne parliamo con Patrick Sultan, agrégé de lettres e dottore in letteratura comparata, co-fondatore di Sifriatenou (“La nostra biblioteca” in ebraico). Un sito web che mira a “per far conoscere l’esistenza ebraica” al grande pubblico e che elenca circa 300 opere.

Libri ebraici?

“La nozione di un libro ebraico è una nozione molto discutibile ma lo usiamo per designare qualcosa di molto particolare.” Patrick Sultan ricorda che nella tradizione ebraica c’è innanzitutto “un” libro: la Torah. “Per millenni, il popolo ebraico ha vissuto di questo libro, ha tratto da questo libro – la Torah – le sue tradizioni, i suoi costumi, le sue istituzioni, i suoi pensieri, le sue pratiche. Pertanto lo studio della Torah è una dimensione fondamentale che costituisce il popolo ebraico.”

A partire dal XVIII secolo, con la Rivoluzione Francese, Gli ebrei poterono diventare cittadini: il popolo ebraico cominciò a “entrare nelle nazioni”come dice Patrick Sultan. “Quando ha acculturato, assimilato, integrato, [le peuple juif] ha reso la sua esistenza dipendente da libri diversi dalla Torah stessa.” E gli ebrei “partecipò alla cultura delle nazioni stesse.” Per certi versi possiamo parlare di secolarizzazione della letteratura.

Tra gli scrittori ebrei, alcuni sono direttamente ispirati dalla fede o dalla tradizione ebraica, come Chaim Potok. In Philip Roth, invece, l’identità ebraica sembra a priori più lontana. Essa è comunque presente, anche “più problematico e complesso”descrive Patrick Sultan. Secondo lui, c’è un forte legame in Philip Roth, per non dire somiglianze, tra l’identità ebraica e l’identità americana.

Nonostante la sua relativa scomparsa nelle nostre società, la Torah rimane una fonte di riferimento e anche un codice di scrittura.

Laico e religioso: la ricchezza di un “doppia appartenenza”

Romanzi di scrittori ebrei, come quelli di Elie Wiesel, Georges Perec, Albert Cohen, Philip Roth Mantengono un legame anche lontano con la religione? Si può parlare di una letteratura ebraica laica? Per Patrick Sultan, “anche se gli ebrei si integrarono nelle nazioni nel loro insieme, non rinunciarono alla pratica, alla lettura e alla riflessione sulla Torah”.

Quindi la Bibbia ebraica costituisce “nonostante la sua relativa cancellazione nelle nostre società, una fonte di riferimento, anche un codice di scrittura.” Naturalmente, questo non può essere fatto senza “ambiguità” nessuno dei due “doppia appartenenza” ma proprio per Patrick Sultan questa tensione “è piuttosto fertile, a volte problematico ma spesso molto ricco”.

Nell’ebraismo sarebbe “un malinteso”ritiene Patrick Sultan, separare la religione dalla cultura. “La religione ebraica stessa è una cultura, si basa sulla riflessione, sui libri, su un processo di cultura e quindi è inscindibile.” Così come non è possibile separare completamente la tradizione scritta da quella orale. “La Torah, ciò che chiamiamo “il” libro, è trasmessa da un testo rigorosamente trasmesso e codificato, ma anche, parallelamente e simultaneamente, da una tradizione orale, dal discorso. C’è una doppia dimensione orale e scritta della Torah, della tradizione ebraica.”

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