: Casablanca, cento volte sul grande schermo

: Casablanca, cento volte sul grande schermo
Libri: Casablanca, cento volte sul grande schermo
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La Città Bianca è diventata un vero personaggio del cinema. Il libro “CinéCasablanca”, di Roland Carrée e Rabéa Ridaoui, pubblicato da Le Fennec, racconta la sua presenza in non meno di 100 film.

Uno, Roland Carrée, è insegnante di cinema alla Scuola Superiore di Visive (ESAV), a Marrakech. L’altra, Rabéa Ridaoui, è facilitatrice culturale e formatrice di cinema presso l’Istituto francese del Marocco, ed è stata presidente dell’associazione Casamémoire dal 2019 al 2023. Insieme hanno appena pubblicato “CinéCasablanca, la città bianca in 100 film.

In un formato pratico e riccamente illustrato, l’opera si compone di cento schede su altrettanti film, nazionali e internazionali, dagli inizi del Novecento ai giorni nostri. Descrivono l’aspetto di Casablanca e ne decifrano le intenzioni artistiche. Cosa sempre più rara nell’editoria contemporanea, troviamo alla fine dell’opera un vero e proprio indice dei film citati, e un altro dei luoghi, edifici e monumenti di Casablanca nominati. I cento lungometraggi sono raggruppati in tre capitoli: Casablanca, città dei sogni; Casablanca, città locomotiva e Casablanca, città mondiale.

Propaganda(i) e parodia
Il primo capitolo, il più breve, evoca necessariamente un cinema di propaganda al servizio del Protettorato, ma contiene ovviamente “Casablanca” (1942) di Michael Curtiz. Anche questo lavoro, come sappiamo, è pura propaganda, ma per una causa migliore: si tratta quindi di convincere il grande pubblico americano della necessità di abbandonare la posizione isolazionista degli Stati Uniti, per entrare in guerra.

L’Operazione Torch, lo sbarco americano in Marocco che libera il Regno dall’influenza di Vichy, non sarà cinema. E la Città Bianca si afferma nell’immaginario globale grazie al talento di Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Sebbene sia stato girato in uno studio in California, sappiamo quanto gli abitanti di Casablanca si siano appropriati delle immagini.

Nel 1946, con il titolo “A Night in Casablanca”, i Fratelli Marx ne fecero un pastiche, anch’esso californiano, ma irridendo cliché e pregiudizi orientalisti. Non senza gusto, i nostri autori citano una lettera di Groucho Marx alla Warner Bros, chiedendo ironicamente come abbia potuto rivendicare la “proprietà esclusiva” del nome Casablanca, in una lettera di un avvocato ricevuta dai fumetti.

Modernità post-indipendenza
Il capitolo “Casablanca, città locomotiva” si apre con “La maledizione dell’erede” (1958), di Mohamed Osfour. Piccolo venditore di giornali all’età di 12 anni, Osfour acquistò una macchina fotografica 9 mm durante il Protettorato e, attraverso le sue produzioni allegramente raffazzonate nella foresta di Bouskoura, entrò nella storia come il primo regista marocchino. Questo mediometraggio, più strutturato, è girato nel quartiere di Habous e racconta la storia molto morale di un ragazzo cattivo catturato dalla legge. Ha impressionato i giovani Ahmed Bouanani e Mohamed Reggab.

Nel 1962, è in Marocco che Francis Blanche realizza il suo unico lungometraggio, “Tartarin de Tarascon”, adattamento dell’omonimo romanzo di Alphonse Daudet. Se il testo originale collocava il viaggio dell’antieroe in Algeria, il cambio di scenario in Marocco era necessario per ragioni di sicurezza.

“Equipaggiato con un fucile e un fez e vestito come un cacciatore di safari, il nostro avventuriero della domenica è lungi dall’essere passato inosservato”, spiegano gli autori. “Tartarin viene portato in carrozza per le strade di Casablanca.

Le immersioni/contro-immersioni tra l’eroe stupito e gli edifici moderni che incontra sul suo cammino riflettono il divario “schiacciante” tra i suoi pregiudizi e la realtà”. Alcune immagini potrebbero aver ispirato Ahmed Bouanani, Majid Rechich e Mohammed Abderrahaman Tazi per il loro “Six and Twelve” del 1968.

Proteste e documentari
Nel 1974, Mostafa Derkaoui ha diretto “Of a Few Events Without Meaning”, che “immerge lo spettatore in una Casablanca popolare, giovane, elettrica, ribelle, progressista, povera, assetata di una libertà illusoria”. Blake Edwards venne a girare alcune scene dell’esilarante “Il ritorno della Pantera Rosa” nel 1975, negli edifici Wilaya e La Nationale in Avenue Mers Sultan.

Nel 1981, con “Le grand Voyage”, su sceneggiatura di Nour-Eddine Saïl, Mohammed Abderrahaman Tazi presenta un camionista derubato durante il suo viaggio, passando per Casablanca, fino a Tangeri, dove, non avendo più nulla, non resta che lui. emigrare in Spagna.

In “Retrouver Oulad Moumen”, del 1994, Izza Génini filma “le strade di Casablanca dove i suoi genitori, le sorelle e il fratello, poco a poco, vennero a stabilirsi: rue des Anglais, rue Djemaa Ech Chleuh poi rue Sidi Regragui, nella vecchia medina, e infine Lusitania Street (oggi Ibn Rochd Street) e le sue tre sinagoghe. Un’immagine risalente alla Seconda Guerra Mondiale mostra la facciata del Tribunale ricoperta da un ritratto di Pétain.

Nel 1997, Martin Scorsese ha girato “Kundun”, la storia del 14° Dalai Lama, e ha utilizzato Piazza Mohammed V a Casablanca come ricostruzione di Piazza Tian’anmen. “La Wilaya rappresenta il palazzo dell’Assemblea popolare e, a tal fine, è ricoperta di iscrizioni cinesi e di un ritratto di Mao Zedong.”

Nuova generazione in una città mondiale
Per il capitolo finale arriva una nuova generazione di registi. Dopo i pionieri Dalila Ennadre, Simone Bitton, Izza Génini e Fatima Jebli Ouazzani, ecco “registi come Merième Addou, Hind Bensari, Asmae El Moudir, Rita El Quessar, Leila Kilani, Raja Saddiki, Karima Saïdi, Sonia Terrab, Layla Triqui o Karima Zoubir” che si appropriano del genere documentario.

Dal punto di vista della narrativa, spiccano “Sofia Alaoui, Selma Bargach, Yasmine Benkiran o Meryem Touzani”. Nabil Ayouche ha pubblicato nel 2000 “Ali Zaoua, il principe della strada”, sui bambini di strada, mentre Laïla Marrakchi dipinge la giovinezza d’oro, la sua, in “Marock”, scioccando coloro che non conoscono la vita dei bellissimi quartieri. In “Spy Game”, di Tony Scott nel 2001, e “Syriana”, di Stephen Gaghan nel 2005, la Città Bianca viene utilizzata per evocare Beirut, il Cairo o il Medio Oriente in generale. Questa volta si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulle ambiguità e sui fallimenti della politica americana.

Con “Casanegra” (2008), “Zéro” (2012) e “Burnout” (2017), Nour-Eddine Lakhmari realizza una trilogia sul ventre della metropoli. Da parte sua, il documentarista Ali Essafi ha pubblicato nel 2020 “Prima del declino del giorno”, tornando al fermento culturale degli anni ’70. Insomma, “CinéCasablanca” è un libro affascinante, che fa venir voglia di visitare la città tanto quanto andare a vedere i film. Forse darà l’idea che qualche serie di proiezioni, ad esempio durante un festival, sarebbero gradite?

Murtada Calamy / Ispirazioni ECO

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