Libro: la medusa ride ancora

Libro: la medusa ride ancora
Libro: la medusa ride ancora
-

Non è perché diffidiamo della tentazione vendicativa di certe neofemministe e del loro gusto per la caccia all’uomo che dovremmo astenerci dal fermarci quando, nella polifonia del femminismo di oggi, si sente una voce giusta e vitale. Deborah Levy è tutto questo e molto altro: è fonte di ispirazione. Non ci siamo del tutto ripresi dalla trilogia autobiografica* che è valsa allo scrittore britannico, nel 2020, la scoperta del pubblico francese e la vittoria del Premio Femina Foreign. Da allora, è stata trattata come una star nei circoli letterari di Parigi, una città dove il londinese, che vi trascorreva sempre più tempo, ha finito per affittare un appartamento un anno fa.

Libro: Dany Jucaud, la ragazza che guardava le stelle negli occhi

Ci siamo precipitati all’ultimo, anzi all’ultimo pubblicato in Francia, Latte caldo, un romanzo che ha scritto… nel 2016. E non siamo rimasti delusi. Ma turbato, sì, turbato. Deborah Levy ci porta nel cuore della soffocante Andalusia d’agosto, tra i lunghi tentacoli delle meduse che infestano il mare e divorano a morsi il corpo della sua eroina, Sofia, una venticinquenne inglese dimentica anche di se stessa come la sua tesi di antropologia, sospesa in attesa di giorni migliori – a beneficio delle cure prestate a sua madre, l’ipocondriaca e monopolista Rose. Inoltre, la figlia e la madre sono venute ad Almería affinché la seconda potesse seguire le cure del dottor Gómez, prestate nella clinica omonima per la modica somma di venticinquemila euro, “cercare di capire cosa c’è che non va nelle sue gambe” – come spiega Sofia allo studente incaricato delle punture di meduse dei turisti nel capannone dell’infermeria in fondo alla spiaggia.

La liberazione di Sofia – di fronte alla sua madre impossibile, come i sermoni del dottor Gómez che le ingiungevano di lottare contro la sua apatia, di “acquisire intrepidità”, o anche la stanza senza finestre assegnatale da un padre che non vede da quando aveva 14 anni, passerà attraverso le meduse. E più precisamente dal veleno rilasciato in esso dalla puntura. “Una puntura di desiderio”, indica il narratore due volte. “Un desiderio enorme. » È il suo desiderio, vivo ed esaltato – e innanzitutto per una donna tedesca che indossa alternativamente scarpe da ballo da uomo e sandali gladiatori argentati allacciati fino ai polpacci, Ingrid Bauer – che gli permetterà di avvicinarsi a se stessa. Morale numero uno: il desiderio salva. Sofia, tu ed io. Tutti noi.

Quindi grazie, signore medusa. Deborah Levy, che è a suo modo – stranamente poetica – un’evangelizzatrice del femminismo intelligente, ha posto questo romanzo sotto l’alto patronato di La Méduse de Cixous. In effetti, una citazione da Medusa che rideil testo-manifesto che Hélène Cixous pubblicò nel 1975 sul numero di L’arco dedicato a Simone de Beauvoir e alla lotta delle donne e in cui decostruisce il mito della Medusa femme fatale, ammaliante e necessariamente pericolosa per gli uomini.

L’ironia sfocia in un’incandescenza sensuale, a meno che non avvenga il contrario

A quasi cinquant’anni da questo testo fondativo, la medusa ride ancora, e ancor di più, con Deborah Levy. “Voglio una vita più grande” assicura Sofia nelle prime pagine di Latte caldodove lo scrittore britannico ironizza maliziosamente sulla convinzione che, per avere successo, bisogna essere forti e coraggiosi, “intrepido”, nelle parole del dottor Gómez che diventano quelle di Sofia – e il ritornello del romanzo. “Ho bisogno di essere più coraggioso”, “Sto diventando coraggioso”, eccetera.

L’ironia sfocia in un’incandescenza sensuale, a meno che non avvenga il contrario. La scena dell’orata, culmine allegorico di questo ingiunzione all’intrepidità che innerva il testo, è un brano da antologia umoristica. Di cui il dottor Gómez, ancora una volta, è lo sprone: “Perché non rubi un pescare al mercato per acquisire intrepidità? suggerisce a Sofia. Non prendere quello più grande, ma nemmeno quello più piccolo. » La gita al mercato del pesce si trasforma in una divertita variazione sulle sfumature dell’intrepidità (leggi l’estratto a fianco). Alla fine, è per divorare l’orata così rubata dalle sue cure che Sofia invita il primo oggetto del suo desiderio, Ingrid, poi il secondo oggetto, lo studente dell’infermeria della spiaggia. “È l’inizio di una vita più intrepida”, nota. Capiremo che queste annotazioni prendono il posto tanto della scansione quanto del sarcasmo dell’autore. Successivamente, dopo a “notte di amore senza paura” dove lo studente avrà baciato “Ogni medusa punge [s] noi corpo, i lividi e le vesciche”, Sofia conclude: “Posso dire che sono molto coraggioso. » Deborah Levy non si limita a recitare in una commedia di prova. Il poeta moltiplica le risonanze e gli altri echi: con lei, le parole, le immagini, le invocazioni, i suoni rispondono qua e là nel testo. “Il mio amore per mia madre è un’ascia. Fa davvero male” può essere letto due volte, a quaranta pagine di distanza. Tra i due, l’ascia ha lasciato il suo status di metafora per materializzarsi – e tagliare in due un serpente… E quando questo ritornello ritorna, poco prima della fine, viene amputata dalla seconda parte: d’ora in poi, è la madre che “minaccia di tagliarsi i piedi con quello” la famosa ascia…

Se quest’ultimo aleggia spettrale sopra il romanzo, il primo dei motivi ricorrenti che sono come intessuti nella trama del testo è lo schermo rotto del computer di Sofia con le sue costellazioni di“stelle frantumate” : presenti nella prima pagina, queste costellazioni punteggieranno il cielo del libro fino alla fine. Due righe dopo l’ennesima menzione di questi “stelle frantumate Made in China”, è il “falso vaso greco con il suo fregio di schiave che portano orci d’acqua sulla testa” che Sofia butta a terra e che anche lui “si frantuma”. Da un simbolo all’altro. Da una matrice all’altra. Perché come uscirne? Tutto inizia da lì. Dalla madre, dalla placenta, dal seno, “latte materno” – non è il caso per Deborah Levy di omettere l’aggettivo, anzi si diverte quasi maniacalmente a non staccare mai il ” latte “ del suo qualificatore, e di far emergere le due parole incollate insieme ancora e ancora. Nel tentativo di convincere la madre di Sofia ad andare a vedere la statua della Virgen del Rosario, il dottor Gómez non le dice che è fatta di marmo avendo “il colore del latte materno” ? Questo “latte materno”, lo toccheremo quando Sofia incontrerà la sua sorellina di 3 mesi. Questo “presta attenzione solo al meraviglioso latte nel grembo di sua madre”, che, nota il narratore, ha “macchie bagnate di latte materno sulla sua camicetta di jeans blu” e si rifiuta di bere il caffè perché “la caffeina passerebbe nel suo latte materno”. Ahimè, chi produce “latte materno” non necessariamente trabocca da questo “merce rara” che Deborah Levy chiama il “latte di umana tenerezza”… Questa è la morale (numero due) di questo bellissimo romanzo lattiginoso.

* Quello che non voglio sapere, Il costo della vita E Stato di avanzamentopubblicato dalle Éditions du Sous-Sol.

-

PREV Santo Stefano. Il dettato del Festival del Libro ha dato filo da torcere ai partecipanti
NEXT Gaëlle Bohé (Fontaine O Livres): “La quota dei diritti trasferiti sul fatturato di un editore può davvero fare la differenza”