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Il libro della strada per l'Oriente

Il libro della strada per l'Oriente
Il
      libro
      della
      strada
      per
      l'Oriente
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Titolo : Il libro della strada per l'Oriente
Autori: Clemente Heinisch
Edizioni : La parola e il resto
Data di rilascio: 23 agosto 2024
Genere : romano

Nel 1998, quando la Francia aveva appena vinto la Coppa del Mondo di calcio contro il Brasile, Clément Heinisch, 21 anni, e il suo amico Jacques partirono in autostop. Il loro obiettivo era raggiungere la Persia, l'Iran, confini ai quali avrebbero dovuto interrompere il loro viaggio, in modo un po' confuso, per iniziare il loro ritorno in terra francese.

Quando decidiamo di leggere Il libro della strada per l'Oriente appesi per la copertina, tre giovani nella cabina di pilotaggio di un'automobile/macchina volante rotta, in un colore verde saturo, immaginiamo di tenere tra le mani un mix tra Jack Kerouac (il cui autore fa riferimento una volta) e Nicolas Bouvier (e il suo Usage du monde). Fantastichiamo di scoprire differenze, difficoltà, ricchezze, incontri. Tutto questo è, naturalmente, discusso in Il libro della strada per l'Orientetranne per il fatto che una cosa non avevamo immaginato: lo stile di scrittura che lo avrebbe accompagnato.

Clément e Jacques sono cavalieri francesi, non impegnati in una crociata contro i barbari, ma cavalieri che difendono, attraverso la penna di Clément, un'immaginazione senza limiti, un'ammirazione per il Medioevo, un'incessante, eccessiva invenzione formale, senza sosta. Una frase, a pagina 10, tra centinaia di altre: “Ma il sentiero pedonale e mistico proprio dei saggi, dei geni e dei santi è ben lungi dall'essere raggiunto, in un momento in cui le rispettive nature dei due compagni ribollono come oceani di lava dove mani di ferro versano sezioni di banchi di ghiaccio e costellazioni”.

Di fronte a uno stile così esuberante, c'è solo una cosa da fare. O rimettere il libro sullo scaffale da cui è stato appena tirato fuori, o lasciarsi coinvolgere nel gioco. Se si accetta l'approccio, emerge sincerità, molta autoironia (unita a un collo grosso sciovinista piuttosto paradossale) e un certo amore per la lingua francese (che viene espresso apertamente alla fine del libro).

C'è ancora molta irritazione nella lettura, di sospiri (“cosa sto leggendo qui?”). Alcune frasi stesse si perdono tra le montagne. L'autore gioca così tanto con se stesso e con il suo racconto di valorosi cavalieri che è difficile distinguere il vero dal falso, anche se sappiamo bene che un racconto di viaggio a volte non è altro che iperbole e fantasie di ciò che è realmente accaduto. Qui, non sempre capiamo necessariamente il corso dell'azione. La scurrilità, mai nascosta, è stancante e allo stesso tempo un po' messa in discussione.

Ricordiamo poi che i compagni avevano poco più di vent'anni. Da qui forse nasce questo continuo impulso a definirsi superuomini (per Jacques, un superuomo che piange la sua Marie che lo attende gentilmente a casa). Se accettiamo tutti questi vincoli stilistici, se li superiamo, se li vediamo come un gioco di adolescenti/bambini che forse credono di rinnovare la letteratura di viaggio nei loro sogni più sfrenati, possiamo aprirci a questo racconto di viaggio che energizza i codici formali. Il libro è fatto di incontri ricchi e situazioni divertenti (la scoperta di latrine collettive), condivide il desiderio di saperne di più sulla Turchia e su questi paesi a est che la confinano (la scrittura è a volte così nebulosa che è complicato fare riferimento al libro per qualsiasi traccia geografica), così come su questi popoli curdi e armeni che vivono lì, e che i due ragazzi hanno incontrato nel loro cammino.

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