Libro: Pascal Brucker attacca i “pro” della sofferenza

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Pascal Brucker attacca i “professionisti” della sofferenza

Pubblicato oggi alle 4:18

Tutto è iniziato molto male. Invece di rimanere come Zeus sul suo Olimpo, Cristo discese stupidamente sulla Terra. Lì subì una crocifissione dopo numerose sofferenze, che lo rendevano invidiabile, perfino desiderabile. Conosciamo il gusto del cattolicesimo per le macerazioni e il pentimento, mentre il protestantesimo dovrebbe costituire un ostacolo ai godimenti. “Fai quello che vuoi, purché non ti renda felice”, ho letto una volta scherzando al Museo Internazionale della Riforma di Ginevra. Sto estrapolando, ovviamente. Ma è un po’ così che inizia “Io soffro dunque sono” di Pascal Bruckner, la cui uscita nelle librerie coincide (segno che certi temi sono nell’aria) con quella di “Dall’eroe alla vittima, La metamorfosi contemporanea del sacro”. ” di François Azouvi alla NRF. Un libro che non ho letto. Il filosofo e saggista francese infatti non può più sopportare un mondo che geme mentre si gratta la ferita come un vecchio cane malato. Sarebbe il momento di reagire, soprattutto perché il mondo ci minaccia e la Terra non se la passa davvero bene.

Una visione dagli USA

È difficile riassumere il lavoro di un uomo di 75 anni che ha già pubblicato molto, il che lo ha reso un intellettuale dei media. Tutto parte dalla “postura della vittima”, cresciuta parallelamente al “politicamente corretto”, importato come esso dagli Stati Uniti dove tutto fermenta secondo l’autore come in un calderone diabolico. Questo atteggiamento, “che si riscontra sia a livello degli Stati che degli individui”, colpisce in particolare i paesi ricchi o già ricchi come la Francia. Fu costruito una sorta di “pantheon composto da sopraffatti o schiacciati”. Queste persone soffrono a loro volta o discendono da minoranze che hanno subito i peggiori abusi. La qualità di vittima è stata infatti recentemente ereditata attraverso la virtù del “transgenerazionale”. Di conseguenza, anche i figli e i nipoti dei loro carnefici portano per secoli i peccati dei loro antenati senza poter dire “Amen”. Basta guardare le richieste attuali. Spesso si riferiscono a fatti molto distanti. Non esiste alcuna prescrizione possibile qui.

Judit Butler, la bestia nera di Pascal Brucker. Va detto che la femminista americana ha avuto delle parole infelici,

Pascal Bruckner non nega gli orrori che sono accaduti e che vengono ancora perpetrati in questo momento. Non è un negazionista, anzi. La Shoah ritorna costantemente nel “soffro dunque sono”, al punto che alcuni credono allo scrittore ebreo. Infatti anche lui indossa la sua Croce. È quella di essere figlio di un protestante antisemita, partito di sua spontanea volontà per lavorare in Germania durante la guerra. Ma per lui si tratta di superare il trauma per uscirne più forti. La sofferenza non deve diventare una rendita vitalizia che ti dà tutti i diritti. Ma al contrario, stiamo assistendo in questo momento (dai discendenti degli schiavi ai ferrovieri francesi) ad un’escalation di infelicità duratura. A chi, a quale gruppo va la palma del martirio? E come non lasciarsi mettere in ombra dai nuovi arrivati ​​che ostentano le loro ferite o quelle dei loro antenati? Ferite che oggi, ovviamente, hanno bisogno di essere rese proficue, anche se il loro dolore deve restare eterno. Una delle parole d’ordine è quindi diventata “riparazione”. In denaro, se possibile. Stile americano.

“Siamo davanti a un pantheon fatto di sopraffatti o schiacciati”.

Pasquale Bruckner

Non si può dire che tali affermazioni lusingino l’opinione pubblica (e di conseguenza i pochi che effettivamente la sostengono). Lo scrittore attacca gruppi come gli anticolonialisti a tutto campo, le femministe shock, gli ecologisti hardcore o gli antisionisti che flirtano pericolosamente con l’antisemitismo. Per non parlare di coloro per i quali la famosa “intersezionalità” (inventata dall’“afrodiscendente” americano Kimberle William Crenshaw nel 1989) permette tutto, poiché la sofferenza è diventata unita. Il libro contiene anche altri attacchi personali. Quelli contro Greta Thunberg l’hanno già messa nei guai. L’adolescente svedese è sacra nella misura in cui è diventata la “verde” Giovanna d’Arco. Ci sono meno rischi con Annie Ernaux, che crede di essere la disertrice di prima classe della storia, Edwa Plenel de Midiapart, la cui pelle sembra dura, o Marguerite Duras. Quest’ultima non ha forse giudicato “sublime, necessariamente sublime” Christine Villemin, che avrebbe ucciso il figlio (cosa che non è in alcun modo provata) perché si trovava “sotto il dominio maschile”. Una nuova Medea, cosa!

Anche il principe Harry sta soffrendo. Non per la sua pusillanimità, né per aver sposato la donna sbagliata, ma per essere un cadetto.

La maggior parte dei colpi di Pascal Bruckner in “Soffro dunque sono” riguardano tuttavia punti concreti. C’è la Russia, dove la sofferenza è sempre stata elevata al rango di culto. Da Dostoevskij a Solzenicyn, che tuttavia aveva tutte le ragioni per lamentarsi, eleva l’anima, preferibilmente slava. L’autore attacca il femminismo nelle sue versioni più estreme. No, la Shoah, parola attualmente banalizzata all’estremo, non si ripete tutti i giorni nella camera da letto di una coppia eterosessuale! I suoi contrattacchi sono soprattutto, il 7 ottobre obbliga, al livello di Israele, divenuto il nemico numero 1 di una sinistra francese devastata dalla paura dell’islamofobia. Si tratta di reagire, quando si arriva all’inconcepibile: l’alleanza tra femministe e fondamentalisti musulmani. Judit Butler non ha avuto il coraggio di scrivere all’inizio del terzo millennio che le donne afghane non dovrebbero rinunciare al tradizionale burqa? Sarebbe un segno di fedeltà alla mostruosità americana rimuoverlo. L’ho letto a pagina 149. Credevo di sognare…

Un imprecatore ufficiale

Pascal Bruckner avrebbe potuto vedersi “invisibilizzato” a causa dei suoi scritti, come lo è appunto una donna afgana. Beh no! Il nostro uomo sta attualmente parlando in TV. Appaiono gli articoli su “Soffro dunque sono”, imbarazzati certo ma non proprio omicidi. Tuttavia, lo scrittore sega il ramo su cui poggiano i giornali (penso in particolare al “Courrier” di Ginevra e Losanna). Altrove, mettiamo in dialogo il filosofo con François Azouvi su un tema diventato di moda. Per restare liberale, nel senso letterale del termine, una società deve conservare alcuni imprecatori. Dopo tutto, tutto ciò crea “buzz”, il che è positivo per le aziende mediatiche di oggi, economicamente in difficoltà. E poi Pascal Bruckner parla bene, il che non è un male quando lo fai dal vivo.

Uno sciopero alla SNCF. Per i francesi, secondo alcuni sondaggi, tutto il lavoro sarebbe in sofferenza.

Ma perché ti sto raccontando tutto questo, potresti chiederti? Dopotutto siamo in una sezione apparentemente culturale! La mia risposta sarà semplice. Il ronzio della lamentela, il flusso continuo della sofferenza, il mantra delle rivendicazioni hanno invaso la cultura. Normale! Tutto è iniziato nelle università americane. Gli intellettuali, nei quali George Orwell (l’autore di “1984”) vedeva l’anello debole della società, accorrevano a teatro. Nella letteratura, divenuta autofiction. All’Opera. Anche nei musei, dove le mostre cosiddette “sociali” stanno diventando sempre più importanti. Bisogna catechizzare, soprattutto in quelli di etnografia (parola ormai bandita), dove la denuncia del colonialismo ha preso il sopravvento su tutto. Ma anche altrove, con un’apertura disordinata sia alle artiste eccellenti che a quelle mediocri. I loro meriti alla fine non contano, si tratta di chiarirsi. Questa adesione al pensiero dell’epoca piace anche ad alcuni politici responsabili della cultura e di conseguenza dei suoi sussidi. Cosa vuoi? Nel “politicamente corretto” ci sono i sinceri ma anche gli ipocriti. Questo, in fondo, è puritanesimo…

Pratico

“Soffro dunque sono”, di Pascal Bruckner, Edizioni Grasset, 320 pagine, che secondo me sono comunque un centinaio di troppo. Tale profondità moltiplica ripetizioni e divagazioni.

Nato nel 1948, Etienne Dumont studiato a Ginevra che gli furono di scarsa utilità. Latino, greco, diritto. Avvocato fallito, si dedicò al giornalismo. Molto spesso nelle sezioni culturali, ha lavorato dal marzo 1974 al maggio 2013 alla “Tribune de Genève”, iniziando parlando di cinema. Poi vennero le belle arti e i libri. Per il resto, come potete vedere, nulla da segnalare.Più informazioni

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