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La Corte di Giustizia dell’UE: quando la creatura sfugge al suo creatore

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Che percorso dal 1952! Questo tribunale, originariamente creato per risolvere le controversie tra sei paesi europei che avevano avviato un mercato comune per la loro produzione di carbone e acciaio, si è trasformato in oltre cinquant’anni di costruzione del mercato unico europeo, poi dell’Unione europea, precursore e motore forza nel trasferimento di sovranità dagli Stati membri a Bruxelles, abbandoni politici e giuridici accettati dai governi e dai tribunali nazionali, bene subiti dai loro popoli: dalla prima decisione della Corte del 1964, la sentenza Costa, che affermava la preminenza del diritto comunitario sul diritto nazionale (il diritto comunitario comprende il diritto primario, cioè i trattati tra Stati membri, il diritto derivato, cioè i regolamenti, le direttive, ecc.) . e accordi internazionali), alla sentenza Simmenthal del 1978, specificando che questa gerarchia dovrebbe applicarsi a qualsiasi legge nazionale, sia prima che dopo le norme comunitarie… e fino alla recentissima decisione del 26 settembre 2024, la sentenza Energotehnica, secondo al quale i giudici nazionali devono derogare, fin dal primo grado, al diritto costituzionale del proprio Stato quando sia contrario al diritto comunitario.

“Una vera e propria rivoluzione giuridica che non dice il suo nome”, per usare le parole del pensatore democratico Marcel Gauchet, che dovrebbe sfidare fortemente i cittadini europei. A cosa servono ancora i parlamenti nazionali? Cosa resta delle costituzioni nazionali?

Consacrando il suo primato sui diritti nazionali, la Corte è diventata anche un attore politico di primo piano nell’UE, interferendo in tutti gli ambiti, anche nei soggetti più sovrani: condanna delle scelte di sicurezza nazionale della Francia (supervisione dell’orario di lavoro delle forze armate e controllo delle utilizzo dei dati per il controspionaggio!), pressione finanziaria (condizionalità dei finanziamenti europei) su Ungheria e Polonia… o, in altre parole, come, imponendo la sua definizione di Stato di diritto, un organismo non eletto possa mettere in discussione il politica dei governi democraticamente eletti.

“Di fronte a questo governo di giudici”, dobbiamo rammaricarci della passività disarmante dei 27 membri dell’Unione Europea”.

Indiscutibilmente, la CGUE osa tutto e contro tutti: a volte il braccio armato della Commissione, come nel duello con Victor Orban, ma anche contro l’esecutivo europeo, ponendosi a censore delle politiche pubbliche che tuttavia vengono decise all’interno della Commissione-istituzionale. triangolo Consiglio europeo-Parlamento. A questo proposito, l’esempio più recente, pubblicato nel settembre 2024, è il colpo inferto dalla Corte alla politica antitrust europea, e a una certa idea di Europa come potenza, negando all’UE il diritto di pronunciarsi sulle operazioni di acquisizione di start-up innovative realizzate oltre Atlantico…

Di fronte a questo “governo dei giudici”, dobbiamo rammaricarci di una passività disarmante dei 27, a parte qualche linea rossa brandita molto occasionalmente dagli Stati. Nella lunga telenovela che contrappose allora il governo spagnolo ai separatisti della Catalogna, questi ultimi non riuscirono a impedire l’elezione al Parlamento europeo del deputato Carles Puigdemont, sfidando Madrid dal suo esilio vallone. Allo stesso tempo, la Corte spagnola non ha esitato un attimo a ignorare una decisione della CGUE, a respingere l’interpretazione data dai giudici lussemburghesi della qualità di deputato e dell’immunità parlamentare legata a questo status, a pronunciare l’ineleggibilità del suo compagno di corsa catalano – allora imprigionato nella periferia di Barcellona.

Più spesso, solo la potente Corte di Karlsruhe, la Corte costituzionale federale tedesca, nell’affermato ruolo di custode delle istituzioni e degli interessi tedeschi, ha osato porre limiti all’onnipotenza dei giudici europei. In una gustosa sentenza del 5 maggio 2020, che mette in discussione l’azione della Banca Centrale Europea sul mercato del debito pubblico, e quindi la decisione della CGUE sul Public Sector Purchase Programme (PSPP) avviato dalla BCE, i giudici tedeschi hanno trattato la sentenza europea come “oggettivamente arbitraria”, descrivendo il lavoro dei colleghi lussemburghesi come “insufficienza metodologica (…) e interpretazione dei trattati (…) incomprensibile e quindi arbitraria”!

«Gli accordi vanno mantenuti». È con un linguaggio più diplomatico e con una dichiarazione eloquente – che pone la fiducia al centro dei rapporti tra l’esecutivo di Bruxelles e il Marocco – che insieme, il 4 ottobre, il presidente della Commissione europea e il capo della diplomazia europea hanno risposto alla CGUE. Le loro voci, unite a quelle di una dozzina di capitali europee che esprimono anche il desiderio di perseguire un “partnership strategico” con Rabat, offrono un raro momento di comunione in cui, davanti alla Corte, la politica riconquista i suoi diritti.

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