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La presidenza americana si deciderà a Gerusalemme e Teheran?

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Gli americani sono già impegnati in ciò che accade in patria e molto raramente lasciano che gli eventi internazionali influenzino le loro scelte politiche. La guerra che si svolge ogni giorno sempre di più in Medio Oriente rischia questa volta di fare la differenza tra la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro?

Dal feroce attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre dello scorso anno, la campagna presidenziale americana ha dovuto competere in termini di visibilità globale con le massicce rappresaglie israeliane a Gaza e con la lenta conflagrazione del Medio Oriente.

La settimana appena trascorsa lo ha dimostrato ancora una volta: per alcune ore ha tenuto banco l’attenzione il dibattito dei candidati alla vicepresidenza, subito rilanciato dalla salva di missili balistici lanciati dall’Iran e dall’invasione dal Libano dei soldati israeliani.

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI, UN AFFARE LOCALE

È diventata la prova della saggezza elettorale negli Stati Uniti: le notizie internazionali, le crisi politiche estere e persino le guerre non sono tra i fattori che gli elettori prendono in considerazione il giorno delle votazioni.

Talvolta si sostiene che la sconfitta del repubblicano John McCain nel 2008 sia dovuta, in parte, alla stanchezza collettiva nei confronti delle due guerre guidate dagli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq. Detto questo, possiamo senza dubbio legittimamente affermare che il carattere eccezionalmente stimolante della candidatura del suo rivale democratico, Barack Obama, avrà giocato un ruolo ancora più fondamentale quell’anno.

Queste elezioni, tuttavia, potrebbero rappresentare un’eccezione. Le tensioni in Medio Oriente, ancora latenti, sono inserite in una spirale infernale che non lascia a nessuno il tempo di assimilare l’ultimo drammatico evento. La regione, come ha sottolineato senza mezzi termini il segretario generale Antonio Guterres al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è intrappolata in “un ciclo disgustoso di escalation dopo escalation che sta portando la popolazione del Medio Oriente direttamente sull’orlo del precipizio”.

UN CICLO DI BOMBARDAMENTI E ASSASSINI

Gli americani quindi faticano a restare disinteressati: la Striscia di Gaza è un cumulo di rovine; L’Iran attacca Israele, che risponde assassinando due figure leggendarie dell’“Asse della Resistenza” istituito dagli iraniani, Hassan Nasrallah di Hezbollah e Ismaël Haniyeh di Hamas, quest’ultimo ucciso con audacia nella stessa Teheran.

Per non parlare dei cercapersone e dei walkie-talkie che esplodono in faccia ai militanti Hezbollah, dei missili e dei razzi che continuano a cadere su Israele e della reazione israeliana sempre più feroce, questa volta a scapito del Libano. Gli americani, era inevitabile, sarebbero stati travolti da questa follia bellicosa.

Il presidente Biden, quando gli è stato chiesto se avrebbe sostenuto un attacco israeliano contro gli impianti petroliferi iraniani, ha risposto soltanto: “Ne stiamo discutendo proprio adesso”. È bastato perché il prezzo del petrolio salisse del 5%, essendo l’Iran il settimo produttore di petrolio al mondo.

STACCATO FINO A UN CERTO PUNTO

Con un prezzo medio della benzina di tre dollari e diciotto al gallone in tutto il paese, ovvero ottantaquattro centesimi al litro, gli americani se la passano abbastanza bene ultimamente. Ma così vicino alle elezioni presidenziali, anche il minimo aumento di importanza sarà disapprovato.

Allo stesso modo, la sola menzione di un maggiore sostegno a Israele fa temere a molti l’invio di ulteriori truppe americane nella regione, cosa che il presidente Biden non ha escluso. Ieri è stata la volta dell’ayatollah Ali Khamenei, leader supremo della Rivoluzione islamica, ad affermare che l’Iran “non si arrenderà e che Israele non sopravviverà a lungo”. Manca un mese alla campagna presidenziale, tempo sufficiente affinché gli Stati Uniti si ritrovino seriamente coinvolti nell’enigma del Medio Oriente.

Il diario sta cercando cittadini del Quebec che vivono nei seguenti stati: Alaska, Alabama, South Dakota, Montana, Rhode Island e Wyoming.

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