VVecchio e fedele amico di Israele, Joe Biden ha subito fatto il punto sulla tragedia del 7 ottobre 2023 – quando i terroristi di Hamas, provenienti dal territorio palestinese di Gaza, hanno massacrato circa 1.200 persone nel sud dello Stato ebraico. Non era solo la ragione dell’esistenza di questo paese – proteggere gli ebrei – ad essere compromessa. Era anche, in Europa e negli Stati Uniti, il sentimento, in molte comunità ebraiche in particolare, della fragilità della vita “mai più”.
Tra i funzionari occidentali, Biden è stato uno dei primi a venire a Gerusalemme per esprimere la sua solidarietà. Questo gesto corrispondeva anche a una posizione politica: bisogna essere vicini a Israele, pensava, per poter influenzare le decisioni del suo governo. E da un anno il presidente americano non delude il suo alleato israeliano. Il sostegno militare e diplomatico di Washington è stato costante, in un momento in cui l’antisemitismo, in Europa ancor più che negli Stati Uniti, sta ancora una volta alzando la sua brutta testa.
Eppure Biden, a voce bassa e con interventi misurati, non nasconde una certa amarezza. Qua e là emerge la sensazione di non essere stato pagato in cambio – espressa, ad esempio, nella lunga intervista rilasciata a Erin Burnett della CNN all’inizio di maggio. Nella sua lotta contro la Repubblica islamica dell’Iran e le sue tre filiali arabe – Hamas, Hezbollah e le milizie irachene – lo Stato ebraico dipendeva, e dipende tuttora, dagli Stati Uniti. Ma anche se hanno consegnato le munizioni, Biden si ritrova comunque nella situazione esatta che non voleva. Il suo partner israeliano, Benjamin Netanyahu, non ha tenuto conto delle richieste della Casa Bianca.
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Di fronte al numero di abitanti di Gaza uccisi dalle bombe americane, questi ultimi hanno invitato Israele alla moderazione a novembre. Invano: secondo i dati di Hamas, apparentemente ampiamente confermati, il bilancio dei bombardamenti quasi quotidiani su Gaza ammonta ad oggi a circa 42.000 morti – da 13.000 a 17.000 tra i militanti del movimento islamico palestinese, secondo Israele; il resto sono civili. Biden voleva, fin dall’inverno, una discussione sul futuro del territorio palestinese dopo Hamas. Invano: l’argomento non interessa a Netanyahu. Il primo ministro, minacciato di dimissione dagli ultras del suo governo se fermerà la guerra, chiede ancora, senza definirlo, “vittoria totale” su Hamas. Una forma di guerra eterna? Spinto dagli Stati Uniti a dare priorità alla negoziazione di un cessate il fuoco per liberare gli ostaggi, Netanyahu ha spesso rifiutato.
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