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Mona Chollet fa la spesa, un colpo nei sentimenti, un colpo nei pensieri (degli altri)

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C’è sempre molta precisione nei libri di Mona Chollet. Ma c’è anche un piccolo problema di metodologia. Troppo spesso, in “Resisting Guilt”. Su alcuni ostacoli all’esistenza” (Zones, La Découverte), i riferimenti sono compilati come insabbiamenti, e l’intuizione come la contropsicologia ha la precedenza sulla riflessione.

C’è sempre molta precisione nei libri di Mona Chollet. In Resistere al senso di colpa (Zone), poiché è l’ultima, troveremo, ad esempio, una presentazione dettagliata della doppia punizione inflitta alle vittime di stupro: non solo devono assorbire il trauma dell’atto subito, ma ancor più, vengono trattenute in una palude di sensi di colpa che li spinge a chiedersi se non abbiano una parte di responsabilità in ciò che accade loro. “È questo miscuglio di fatalismo e spirito di sottomissione” che il saggista analizza molto finemente, con riferimenti epocali a sostegno – incontriamo, in questo primo capitolo, Hélène Devynck, autrice diImpunitào anche Marie Portolano e Guillaume Priou, ai quali si deve il documentario trasmesso su Canal + Non sono una stronza, sono una giornalista (2021).

Lo stesso vale per l’ingiunzione all’efficienza, sviluppata nel capitolo “Walk or die”, dove l’autore ha la buona idea di ritornare al «karoshi» giapponese (morte per superlavoro) e la violenza inflitta agli atleti agonisti fin da piccoli da chi li circonda (famiglia, allenatori), guardando al caso Simone Biles o alle rivelazioni di Thierry Henry. Sarà data grazia anche a Mona Chollet per averci esortato a sistemare le cose in materia di attivismo femminista, fine del Resistere al senso di colpa essendo per lei l’occasione per impegnarsi in una sincera autocritica e per abbracciare la condizione “umano troppo umano”, potremmo dire, che ci incoraggia a puntare sull’intransigenza e sulla purezza. Il che ci spinge ad ammettere a chi si vanta del femminismo che lo è sempre poco “femministe di cartone” perché, come ricordava Péguy, “Il kantismo ha le mani pure ma non ha mani”. Quando mette in guardia contro “la vergogna di stare bene” e la vittimizzazione, Chollet non potrebbe essere più rilevante.

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