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Come Roy Cohn ha creato Donald Trump

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Donald Trump (Sebastian Stan) in “L’Apprendista” di Ali Abbasi. FILMEXPORT METROPOLITANO

IL PARERE DI LE MONDE – DA VEDERE

Creato nel 2004 sulla rete americana NBC, il reality show L’Apprendistaprodotto e ospitato da Donald Trump, ha visto un gruppo di candidati desiderosi di entrare nei ranghi dirigenziali dell’azienda affrontarsi mentre risiedevano per una settimana alla Trump Tower. Lì, il grande capo aveva il compito di eliminare i candidati uno per uno, finché all’ultimo candidato rimasto non veniva conferito il Santo Graal. Reso famoso non tanto per la celebrazione dei vincitori quanto per l’umiliazione dei perdenti, la sua espressione “sei licenziato” divenne famosa, mentre lo spettacolo rivelava il suo vero scopo: puro inserimento di prodotti per l’imprenditore ospite.

Poiché questa filosofia non riguarda solo gli affari ma la vita stessa, e quindi la vita come business, aveva senso dare lo stesso nome a un film che pretende di far luce sugli anni formativi di Trump e sulla sua decisiva relazione degli anni ’80 con l’avvocato corrotto e ultraconservatore Roy Cohn (1927-1986). Diretto dal regista danese di origine iraniana Ali Abbasi da una sceneggiatura del politologo americano Gabriel Sherman, L’Apprendista non è un film biografico tradizionale basandosi su un mimetismo esaustivo. Si tratta invece di quello che potrebbe essere definito un film biografico concettuale, costruito attorno a un concetto chiave e a uno spaccato di vita che cattura l’essenza di un celebrità e il suo destino.

Il film inizia negli anni ’70. Trump (Sebastian Stan) è un giovane discreto, quasi ottuso, che va ancora di porta in porta a riscuotere l’affitto delle squallide case popolari di proprietà di suo padre, che ha fatto fortuna nel settore immobiliare. Donald, convinto che il decadimento di cui soffriva New York in quel periodo dovesse essere sfruttato per gettare le basi per una città completamente gentrificata, sogna di cambiare marcia. Il suo incontro casuale con Cohn (Jeremy Strong) lo aiuterà a fare proprio questo. Quest’uomo di malaffare – consigliere legale del senatore Joseph McCarthy (1908-1957) negli anni Cinquanta, devoto servitore di esponenti neoconservatori, vicino alla mafia, ebreo vergognoso e omosessuale, losco avvocato, terrore dell’ordine degli avvocati, noto per la sua spudoratezza metodi – prende in simpatia Donald. Diventa l’avvocato del gruppo familiare, utilizzando la sua influente rete di contatti per salvarli da un imbarazzante caso di discriminazione razziale.

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Il film si trasforma poi in una storia di apprendistato, tragedia e moralità. Cohn funge da padre sostitutivo per il giovane Donald, prendendo il posto di Fred Trump (1905-1999), squalificato da questo ruolo a causa della sua diffidenza nei confronti del figlio e dei suoi metodi antiquati. Tuttavia, questo secondo padre è un modello pervertito, che gli insegna il disprezzo per la legge, la mancanza di scrupoli, l’avidità e la religione della forza e della vittoria. Il suo allievo fa così bene ad assimilare queste lezioni che finiscono per rivoltarsi contro colui che le ha insegnate. Un classico arco. Tutta la seconda metà del film, durante la quale vediamo Trump consolidare la sua fortuna negli anni ’80, è incentrata sull’abbandono e l’uccisione simbolica del suo mentore, che stava segretamente morendo di AIDS.

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