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Il poeta e scrittore Jacques Réda è morto a 95 anni

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Il decano della poesia francese è morto questo lunedì 30 settembre, lo annunciano le edizioni Gallimard in un comunicato stampa.

Fu l’ultimo rappresentante, con Jacques Roubaud, di una generazione dominata da Philippe Jaccottet, Franck Venaille, Michel Deguy, Jude Stéfan e Ludovic Janvier. Jacques Réda, decano della poesia francese, con più di ottanta titoli in settantadue anni di carriera, è morto all’età di 95 anni, ha annunciato Gallimard in un comunicato stampa.

“Con le sue opere così come con l’attenzione che non cessò mai di rivolgere agli altri scrittori del suo tempo, (egli) testimoniò il suo attaccamento ad una letteratura creativa che sa mantenere tutte le sue promesse di espressione e di verità umana, senza mai perdere la connessione con il lettore, la natura e il mondo così come va.

Un anno fa, Le Figaro ha incontrato Jacques Réda nella sua casa, sulle alture di Ménilmontant, dove aveva vissuto per più di trent’anni, in occasione della pubblicazione di Lezione dell’albero e del vento. Il poeta si ricordò della sua prima pubblicazione, nel 1952, quando era magazziniere a Seghers e celebrava i tigli del giardino del Palais-Royal, e ci parlò di Parigi. In prosa, in poesia, sia in Progetti di castelli, Libertà delle strade, Le Méridien di Parigi, L’abitante della città, Il Ventesimo mi stancao anche Rimaniamo pazzi, non aveva mai smesso di cantare la capitale: dal cortile del suo palazzo, conducendoci dalle rive della Senna alle vicine periferie (Fuori le mura), passando per il Marais, Belleville, gli orti, i parchi e le fermate degli autobus. Jacques Réda ha dato voce ai merli, alle querce e ai carpini, “alti pini sfiorati dal vento”, Da “l’albero agisce come un poeta ispirato” e quella poesia “non è mai altro che l’emblema imperfetto/ Dell’Albero che attraversa silenziosamente il muro/ Che, dall’alba dei tempi, ci separava dall’enigma”.

Réda aveva trovato il suo posto accanto agli altri grandi pedoni di Parigi: Léon-Paul Fargue, Jean Follain (che ammirava), Henri Calet. E anche accanto ai ciclisti, lui che viaggiava sia a piedi che in bicicletta. Lui era, “un realista meticoloso che cade nella meditazione, nel sogno, nell’astrazione, nei fuochi cesellati del linguaggio”come ha scritto Patrick Grainville. Sì, Jacques Réda viveva la poesia. “Quando ho iniziato a pubblicare, ho smesso di essere un poeta e sono diventato uno scrittore. Il poeta è prima di tutto uno Stato”.

Un “vecchio orso” infantile

Jacques Réda è nato in Lorena nel 1929, figlio di un italiano piemontese che aveva avviato un’attività di riparazione di due ruote. Réda aveva vissuto una seconda nascita alle soglie dell’adolescenza, scoprendo la poesia attraverso Mallarmé, e il jazz, che era la sua grande passione, portandolo a collaborare con Rivista Jazz dal 1963, poi la pubblicazione di numerose opere sullo stesso tema.

Tra il 1968 e il 1975 pubblica tre raccolte dal tono elegiaco: Amen (Premio Max-Jacob), Recitativo et La Tourneseguito da quella che alcuni consideravano la sua opera principale, Le rovine di Parigi. Già mescolava prosa e poesia, con uno spiccato gusto per i versi di quattordici sillabe. “Scrivi in ​​versi regolari, ci ha confidato, è piacevole e la rima è intelligente. Lo sa in anticipo; indovina e chiama una delle sue amiche.

Réda entra poi nel comitato di lettura di Gallimard, dove rimane per molti anni, prima di assumerne la direzione La nuova rivista francesetra il 1987 e il 1995. Nel frattempo pubblica due omaggi ai suoi maestri, Jorge Luis Borges e l’elvetico Charles-Albert Cingria, e i suoi Legno verde secco. Il poeta poteva essere severo e scontroso, ma non gli importava. IL “vecchio orso” era amico di Bergounioux e Michon. E si prendeva cura di loro.

Sotto il titolo L’abitante della cittàtra il 1997 (anno in cui vinse il Gran Premio di poesia dell’Accademia di Francia) e il 2008, distribuì ad alcuni compagni una sorta di bollettino parrocchiale, fotocopiato, interamente scritto a mano, utilizzando vari pseudonimi. Qualcosa tra i ritornelli pungenti di Boby Lapointe e i post umoristici di Alexandre Vialatte. Lì abbiamo scoperto, disordinati, dispetti, barzellette, inscatolamenti, scherzi, pastiches, sbalzi d’umore, poesie, falsi annunci economici, ispirati dalla vita del suo quartiere e dal modo in cui lui lo vedeva, a volte con la complicità di alcuni amici, tra cui Gérard Macé.

Il poeta aveva ricevuto nove premi, tra cui il Goncourt per la poesia per “La course”, nel 1999. Non aveva mai smesso di restarci “fedele alle esigenze del suo orecchio”. Amava la lingua, “vitalità musicale”. Eterno lavoratore e poeta, Jacques Réda lavorava ancora l’anno scorso, all’età di 94 anni, a un libro sul ritmo, nella poesia, nella musica.

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