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PASTORI (2024) – Recensione – Un film bello, rasserenante, a tratti ruvido, come la lana di pecora

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Un film semplice, ma mai semplicistico, bello e rasserenante, ma mai stucchevole, diretto con tutta la delicatezza e la sincerità desiderate da uno dei nostri migliori cineasti.

La storia del cittadino che decide un giorno di scambiare il rumore concreto e incessante della città con i paesaggi calmi e bucolici della campagna è stata a lungo sfruttata in ogni modo.

Con Pastoriadattamento gratuito del libro Da dove vieni, pastore? dell’autrice Mathyas Lefebure, Sophie Deraspe riesce deliziosamente a evitare i cliché e le cose facili che troppo spesso si presentano con questo tipo di paragoni.

Il viaggio di Mathyas (Félix-Antoine Duval) in Provenza inizia, sicuramente, come previsto. Quest’ultimo si è lasciato alle spalle tutta la sua esistenza di pubblicitario, alimentato dall’ansia, con la ferma intenzione di diventare pastore.

Nonostante tutte le sue buone intenzioni, Mathyas si confronta presto con la dura realtà di un’agricoltura precaria, minacciata tanto dalle pratiche industriali quanto da regolamenti spesso scritti da burocrati che non hanno la minima idea delle condizioni e delle numerose sfide incontrate sul territorio. .

Un proprietario terriero vuole prima dare una possibilità a Mathyas, ma alla fine non ha il tempo di insegnargli tutto prima che inizi il periodo più importante dell’anno. Quella che segue è una visita alla terra arida di un scontroso contadino alla fine delle sue risorse, che tratta i suoi animali in un modo che ricorda un po’ troppo al personaggio principale tutto ciò che ha cercato di lasciarsi alle spalle in Quebec.

Ignorando il romanticismo di fondo in cui sono solitamente immersi questo tipo di proposte, Sophie Deraspe rende le delusioni più amare con l’unico obiettivo di riunire le piccole vittorie del suo protagonista e della sua nuova compagna Élise (Solène Rigot) – che ha anche deciso abbandonare le sicurezze del suo posto di funzionaria pubblica per compiere un pellegrinaggio verso l’essenziale, il tanto auspicato stato di grazia.

Ottenute finalmente le condizioni ideali per esercitare la professione dei loro sogni, Mathyas ed Élise si stabiliscono per la stagione estiva in una baita rustica nel cuore della montagna, con il mandato di sorvegliare un gregge di circa 800 pecore.

Da questa svolta si può affermare che il cineasta del Quebec ha davvero ragione «cinema lento»offrendoci una serie di magnifici panorami di una natura inalterata, abitata solo da bestie e da due individui che si sono ritrovati così tanto da aver finalmente trovato il loro posto in questo mondo. Il tutto al ritmo di un montaggio altrettanto pacato, che lascia respirare ogni elemento narrativo come se si prendesse una profonda boccata d’aria fresca.

La bellezza di Pastori sta anche nel modo in cui Deraspe dispiega il suo universo come un ecosistema, lasciando che ogni elemento si adatti narrativamente e drammaticamente, si evolva al proprio ritmo, crolli, si rialzi, combatta e, infine, prenda parte al mantenimento di questo stesso ciclo. si perpetua da secoli.

Se certi dialoghi a volte possono sembrare un po’ vuoti, la regista riesce generalmente a non forzare la nota mantenendo una distanza sufficiente da ciò che filma, applicando abilmente alcune lezioni apprese durante la sua recente esperienza nel cinema documentaristico.

C’è sicuramente qualcosa di tanto trascendente quanto autentico in questa produzione che presenta una realtà sociale, una cultura e una tradizione in tutti i loro aspetti, i loro lati più invidiabili così come le loro sfaccettature più temute.

Pastori è un film semplice, ma mai semplicistico, bello e rasserenante, ma mai stucchevole, realizzato con tutta la delicatezza e la sincerità desiderate da uno dei nostri migliori cineasti.

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